11 febbraio 2025

Intervista a Luisa Morgantini, arrestata dall’esercito israeliano: “In Cisgiordania pogrom, devastazioni e Apartheid”

 

La presidente di Assopace Palestina

Dopo il 7 ottobre la grande prigione che era la Cisgiordania si è frammentata in tante piccole celle: villaggi dove non ci si può muovere. Sul territorio palestinese occupato ci sono 798 checkpoint. Nel 93 c’erano 150mila coloni, oggi sono 700mila. Ogni giorno manifestano la loro furia e disumanità

Interviste - di Umberto De Giovannangeli 11 Febbraio 2025 "L'Unità"

Quando dici Luisa Morgantini pensi alla Palestina, alla resistenza non violenta contro l’occupazione. Pensi ad un impegno di una vita, all’esperienza delle “donne in nero”, al dialogo dal basso tra l’Israele pacifista, esiste ancora, e le organizzazioni della società civile palestinese. Un impegno che Luisa ha fatto vivere nella sua esperienza a Strasburgo, è stata vicepresidente del Parlamento europeo, e nella fondazione di Assopace Palestina. Quella che leggerete è una testimonianza diretta, dal “fronte”, che Luisa sta vivendo mettendosi, come sempre, in gioco e rischiando in prima persona, come è accaduto di recente a Hebron, dove è stata fermata dall’esercito israeliano. 
Luisa Morgantini, una vita con la Palestina nel cuore. Cosa significa oggi vivere nel “Regno dell’apartheid” in Cisgiordania?
L’inferno, e non mi riferisco solo a Gaza, al genocidio, ai 61.784 palestinesi uccisi da bombe e cecchini israeliani, il 70 per cento di bambini e donne, ai più di duecento giornalisti e un migliaio di medici, infermieri, ai bambini e alle persone amputate, ai morti di freddo, a tutti quelli che hanno fame. A Gaza non è solo genocidio ma educocidio, ecocidio, la distruzione del 85 per cento e più di case, ospedali, scuole, a preziosi luoghi archeologici, le coltivazioni bruciate, penso al nord di Gaza, alle dolcissime fragole di Betlahia, ai tulipani e al sud, nei luoghi circostanti Khan Yunis alla sue verdure, alle imprese tessili, ai mobilifici, in Cisgiordania, è certo che vige un sistema di apartheid, strade costruite dentro i territori palestinesi e aperte solo per i coloni (illegali), tribunali militari per i palestinesi e tribunali civili per i coloni, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati , le drastiche misure per il blocco dei movimenti, le massicce confische di terre, i palestinesi di Gerusalemme Est che non hanno cittadinanza ma solo una carta d’identità rinnovabile ogni 10 anni, non hanno passaporto ma solo un lasciapassare. Vivere nel sistema di apartheid, significa avere la propria vita controllata e subordinata al volere di un soldato, di un colono, essere arrestato, torturato, uscire dal carcere senza aver avuto un processo ma solo una detenzione amministrativa, non sai per cosa sei stato arrestato, al tuo avvocato non viene fornita nessuna prova o motivo del tuo arresto, puoi restare in carcere per anni, senza mai sapere per quale motivo. Vivere in un regime di apartheid significa avere la tua casa demolita, casa costruita con la fatica e il sudore di ogni membro della famiglia, ma non hai avuto il permesso malgrado la tua richiesta sia stata presentata da anni. La terra è di tua proprietà, così costruisci, la famiglia negli anni si è allargata, quando arriva l’ordine di demolizione, ti viene richiesto di demolirla tu stesso per non pagare le spese della demolizione. A Gerusalemme Est, nel quartiere di Silwan, al Bustan, un quartiere palestinese di più di cinquantamila abitanti, il 13 novembre del 2024, i bulldozer hanno demolito, oltre a 7 case, il luogo simbolo di Al Bustan: il giardino attrezzato per giovani, finanziato dal governo e 21 amministrazioni locali francesi. Il console francese ha protestato, delegazioni diplomatiche hanno visitato Silwan e protestato ma senza risultati, la ruspa ha demolito tutto, per far posto alla Città di David, luogo archeologico, progetto simbolo dell’identità esclusivamente ebraica di Gerusalemme.

Le mille forme di espropriazione…

Gli ebrei reclamano proprietà lontane, falsificando documenti, ma la Corte Penale Israeliana gli dà ragione, lo sa bene la famiglia Geith, 16 membri che sempre a dicembre è stata evacuata forzatamente per affidare la proprietà al gruppo di coloni Ateret Cohanim. La restrizione di movimento dei palestinesi dopo il 7 ottobre è quasi totale. L’Ocha, organizzazione della Nazioni Unite, ha contato 798 checkpoint sul territorio palestinese occupato, questo significa che un palestinese non può raggiungere il posto di lavoro, la scuola, gli ospedali, le merci non possono passare dai check point. Dal 7 ottobre, la grande prigione che era la Cisgiordania si è frammentata, oggi il carcere è costituito da piccole celle, così sono i villaggi da dove non ci si può muovere, è l’impoverimento della popolazione, i 150.000 e più dei palestinesi che lavoravano in Israele sono stati cacciati. In Cisgiordania organizzazioni di solidarietà distribuiscono pacchi famiglia con riso, zucchero e altri beni di prima necessità, come nel quartiere di Tel Rumeida a Hebron dove le famiglie circondate da colonie con check point interno alla città di Hebron, ogni volta che passano il check point rischiano di essere picchiati o bloccati per ore. Parecchie famiglie se ne stanno andando, e quelle che rimangono, non hanno reddito ed è qui che i Giovani palestinesi contro gli insediamenti, distribuiscono pacchi cibo. Sì Israele pratica il regime dell’apartheid, un crimine contro l’umanità così come definito dallo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e dalla Convenzione sull’apartheid, ma la legalità internazionale è sotterrata sotto le macerie di Gaza. Dovremo farla rinascere, ma la vedo durissima con i governanti che ci ritroviamo e la frammentazione e debolezza della società civile, certo protestiamo ma le nostre voci restano inascoltate, la nostra illusione di vivere in una democrazia si è infranta e dobbiamo affrontare questa realtà.

Al massimo a cui arriva, nei rari casi in cui lo fa, la stampa italiana mainstream, con annessi talkshow televisivi, parla di “frange estreme” dei coloni. Ma mai si mette in evidenza la complicità di settori dell’esercito nei pogrom che avvengono contro villaggi palestinesi in West Bank.
I talkshow, tranne rare e lodevoli eccezioni, sono affidati a presuntuosi e ignoranti opinionisti, non hanno mai visto la Palestina e neppure Israele, si affidano ad una narrazione costruita dalla hasbara israeliana (propaganda). Continuano a sostenere che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente, mentre dall’ interno di Israele stesso, le manifestazioni prima del 7 ottobre, apertamente accusavano Netanyahu di essere un dittatore e che le proposte di legge di Netanyahu, liberticide.
I coloni che alla firma dell’accordo di Oslo nel 93 erano 150.000, oggi sono più di 700.000, e nelle aree C, dove il controllo e il dominio israeliano è totale, manifestano ogni giorno la loro furia e disumanità, sono un pericolo costante per la popolazione palestinese. A Tuba, uno dei villaggi di Masafer Yatta dove da anni Israele tenta di evacuare la popolazione per lasciare campo libero all’addestramento militare del suo esercito, il 25 dicembre, un branco di coloni, ha fatto irruzione nel piccolo villaggio, distruggendo il mangime per animali, devastato case e tende, ferito due bambine e bruciato l’unica jeep del villaggio, ma ogni giorno attaccano villaggi proprietà palestinesi. Ehud Olmert, ex premier israeliano, non ha esitato a chiamare progrom e dire che prova ripugnanza e vergogna per le loro azioni, altri condannano, ma ormai i coloni dettano legge, rappresentati come sono dal governo Netanyahu. Dopo il 7 ottobre, sono stati armati più di centomila coloni e dotati di potere di arrestare palestinesi, mentre l’esercito israeliano non può arrestare un colono anche se vede che brucia case e auto e attacca contadini. Solo la polizia può arrestare un colono, ma non lo arresta di certo perché ha attaccato o ucciso palestinesi, ma solo per atti criminali, compiuti contro la propria comunità. Intere comunità palestinesi dopo il 7 ottobre, secondo la ricerca dell’Ong israeliana Kerem Navot almeno 57 comunità palestinesi, sono state costrette a lasciare le loro case per gli attacchi dei coloni. E con gli attacchi dei coloni si fa sempre più chiaro e si realizza quanto Smotrich (ministro delle Finanze, uno dei leader dell’ultradestra israeliana, ndr) sostiene da tempo, bisogna ridurre i campi profughi come Jabalia, distruggerli e non c’è dubbio che avendo ordinato la chiusura dell’Unrwa, l’organizzazione per i rifugiati palestinesi, la scelta è quella di spopolare i campi profughi, in modo che la questione dei profughi della Palestina non esista più, a Gaza ci pensa Trump e nella Cisgiordania ci pensano l’esercito e i coloni. Il campo di Tulkarem è ormai stato svuotato, con le strade principali distrutte totalmente, con le fogne che scorrono, più di 16 mila persone sono state costrette ad andarsene, molti hanno trovato posto nella città tra amici e parenti, ma circa 150 famiglie si sono rifugiate nelle due moschee di Tulkarem. Varie associazioni e organizzazioni palestinesi raccolgono cibo, coperte, materassi. Il secondo campo di Tulkarem , Nur el Shams continua ad essere attaccato, così come Jenin. Nella parte settentrionale della valle di Giordano, dalla città e dal campo profughi al Fa’arra, come mostrano decine di video sui social, intere famiglie se ne vanno con poche cose e i figli piccoli. Arriveranno in tutti i campi, a Deheshe nella città di Betlemme, alcuni giorni fa hanno ordinato la chiusura del centro Ibdaa, importante luogo culturale. Dal 7 ottobre in Cisgiordania sono state uccise 920 persone.
 
Ed ora Netanyahu può contare sul sostegno totale dell’inquilino della Casa Bianca… Trump, che in accordo con i fondamentalisti messianici ha già acconsentito a chiamare la Cisgiordania, Giudea e Samaria, sostiene il piano di espansione delle colonie e di annessione di gran parte della Cisgiordania, dice che Israele ha bisogno di più terra. Trump con il suo piano allucinante da imperatore dispotico e disumano dice che i gazawi se ne devono andare perché è troppo difficile vivere tra le macerie. Nella realtà, una pulizia etnica, chiara visto il piano di Kushner e di Trump, ma anche di Daniela Weiss, leader dei coloni e dei giovani delle colline che sono i più estremisti, già avevano fatto il piano per costruire le villette, perché i coloni hanno un sogno romantico che è quello di vedere il mare di Gaza. Kushner da tempo parlava degli investimenti immobiliari a Gaza dove non c’è solo il mare, ma anche il gas. Un piano che deve essere preso seriamente. I palestinesi sono esclusi da ogni scelta, decide il padrone globale, dove il colonialismo, il razzismo e la supremazia occidentale si manifestano in tutta la loro crudeltà. Trump è certo che farà accettare a Giordania ed Egitto, la sua proposta di accogliere i palestinesi di Gaza, ovviamente con ricatti, per ora non sembra che i paesi arabi accettino il padrone globale. Vedere i gazawi tornare al nord, sapendo di trovare le loro case demolite, fare ore e ore al check point di Netzarim, con i mercenari e soldati americani che hanno già preso posto, che dicono che vogliono restare lì ed essere loro a ricostruire, è una lezione di umanità per tutti noi.

La fragile tregua a Gaza non cancella quindici mesi di devastazione e di morte. Con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità, la Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso un ordine di cattura internazionale nei confronti del Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani ha ribadito che l’Italia non attuerà questo ordine, nonostante il nostro Paese aderisca alla Cpi nata dallo Statuto di Roma.

continua
https://www.unita.it/2025/02/11/intervista-a-luisa-morgantini-arrestata-dallesercito-israeliano-in-cisgiordania-pogrom-devastazioni-e-apartheid/