di Hareth Yousef,
Mondoweiss, 22 febbraio 2025.
La storia d’amore di Nael Barghouti, il prigioniero palestinese di più lunga data, e di sua moglie Iman, è un classico del folclore palestinese. Ora, mentre Iman attende il rilascio del suo amato dalla prigione, Israele continua a cercare di separarli.
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Aman Nafi’, moglie di Nael Barghouti, regge una foto del marito imprigionato, nella sua casa del villaggio di Kobar, vicino a Ramallah. (Foto: Zena al-Tahhan) |
Ma una cosa di cui tutti eravamo orgogliosi era che il nostro villaggio aveva molti combattenti per la libertà. La maggior parte di loro era dietro le sbarre, ma conoscevamo le loro storie a memoria, anche se alcuni erano stati arrestati nei primi anni ’90, prima ancora che noi nascessimo.
Abbiamo imparato a conoscerli dai nostri genitori, dai nonni, dagli amici a scuola, in pratica in ogni contesto sociale.
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Quel giorno, dopo una lunga celebrazione, la folla che era venuta dall’esterno del villaggio iniziò ad andarsene. Finalmente ebbi l’opportunità vedere Nael da vicino; era intervistato da un canale di notizie israeliano.
All’epoca era nei suoi 50 anni, ma nonostante avesse trascorso 34 anni dietro le sbarre, non dimenticherò mai l’energia che irradiava, quella di un uomo rinato per combattere.
“Finché l’occupazione continuerà, noi continueremo a lottare”, ha detto al giornalista.
Poi, in ebraico, ha detto una cosa prima di passare nuovamente all’arabo: “Conosco la vostra lingua. L’ho imparata in prigione. Ma voglio parlare nella mia lingua”.
Per settimane, è stato sulla bocca di tutti in Palestina e nel villaggio.
Si diffusero voci su come, mentre era in prigione, Nael si fosse innamorato di una donna che non aveva mai incontrato. Aveva ascoltato la voce di lei alla radio, mentre difendeva i prigionieri palestinesi, si batteva per i loro diritti e visitava le loro famiglie, compresi i genitori di Nael.
Lei stessa era stata imprigionata per 10 anni. Si chiamava Iman.
Quando Nael fu liberato nel 2011, nel villaggio si accese un dibattito. Alcuni sostenevano che la sua famiglia gli stesse facendo pressioni affinché sposasse una donna che potesse dargli dei figli, perché Iman non poteva. La maggior parte delle persone era d’accordo: avrebbe dovuto sposare una persona che gli avrebbe dato dei figli. Ma altri sostenevano che si trattava di una vera storia d’amore e che Nael non si sarebbe mai rimangiato la parola data.
Meno di un mese dopo, Nael sposò Iman. Tutta la Palestina festeggiò.
Il giorno del loro matrimonio, Nael si presentò davanti alla folla e disse:
“Come prigioniero liberato, considero il mio matrimonio con un’altra prigioniera liberata una vittoria contro la prigione, una sfida a coloro che ci hanno privato della libertà e un trionfo dello spirito di fede e di speranza. Questa occasione di gioia è solo il primo passo per aprire la porta della vita che ci aspetta. Ci hanno negato la libertà, ma non hanno ucciso la nostra determinazione a rompere le catene. Ora, posso dire che io e Iman intraprenderemo un nuovo viaggio, poiché stiamo per creare un’altra famiglia tra le altre in questa grande nazione. Preghiamo Dio affinché completi la nostra felicità e gioia e guarisca le nostre ferite che hanno sanguinato per troppi anni, lasciando ricordi profondi che vivranno con noi per sempre. Ma questi ricordi serviranno anche come lezioni che rafforzeranno la nostra determinazione a continuare la nostra marcia per la libertà”.
Nael e Iman si trasferirono nella loro casa sul lato orientale del villaggio, su una collina che dominava le terre circostanti. Quasi ogni giorno, Nael andava per i campi, riconoscendo gli ulivi che aveva curato da ragazzo prima del suo arresto, alcuni dei quali aveva piantato lui stesso e che ora davano frutti.
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Gli avevano ordinato di fare i fatti suoi, di smettere di essere attivo nella comunità. Lui ha rifiutato. Non avrebbe ma perso l’occasione di sostenere l’unità palestinese e i diritti dei prigionieri.
All’inizio, lo hanno sottoposto a detenzione amministrativa per 33 mesi. Poi, hanno ripristinato la sua condanna originale all’ergastolo, più 18 anni.
L’intero villaggio era sconvolto.
Durante la stessa telefonata, mia madre ha aggiunto: “Dicono che abbia inviato una lettera a Iman, dicendole che le stava dando la libertà di andarsene perché non voleva farla aspettare di nuovo per anni”.
Poi, dopo una pausa, ha aggiunto: “Ma lei ha rifiutato. Ha detto: ‘Aspetterò per tutta la vita. Continuerò a lottare per lui fino alla fine’”.
Come parte del recente scambio di ostaggi, si prevede che sarà esiliato in Egitto, per ora.
Sua moglie, Iman, ha cercato di lasciare la Cisgiordania per incontrarlo in Egitto al momento del suo rilascio, ma l’occupazione israeliana le ha negato l’uscita.
Non posso fare a meno di chiedermi: il ricongiungimento di due veri amanti spaventa così tanto l’occupazione? Pensano di poterli spezzare?
Davvero si illudono.
Nael e Iman saranno per sempre i combattenti e gli amanti perfetti.
Hareth Yousef è un fotografo, documentarista ed educatore palestinese. È Brock Family Visiting Instructor in Studio Arts presso la Duke University, specializzato in fotografia, documentario e pratica dell’immagine in movimento. Nato e cresciuto a Kobar, in Palestina, il lavoro di Hareth esplora l’identità, la memoria, la rappresentazione e il luogo, con una forte attenzione alle narrazioni palestinesi. La sua pratica creativa collega la narrazione visiva e la storia culturale, sottolineando l’interazione tra il passato e le lotte contemporanee. Hareth ha conseguito un M.F.A. in Arti sperimentali e documentarie presso la Duke University, una laurea in fotografia presso il Columbia College di Chicago e una laurea in giornalismo presso la Birzeit University.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina