Repressione sistematica: Hamas critica le restrizioni imposte da Israele ai cristiani della Cisgiordania
Nonostante l’osservanza internazionale della Domenica
delle Palme, le severe restrizioni imposte da Israele hanno impedito a
migliaia di cristiani palestinesi di celebrare il loro culto nella
Gerusalemme occupata.
Ai cristiani della Cisgiordania viene negato l’ingresso nella Gerusalemme occupata durante la Domenica delle Palme. (Foto: via WAFA)
Le forze israeliane hanno impedito ai cristiani palestinesi della
Cisgiordania di entrare nella Gerusalemme occupata per partecipare alle
celebrazioni della Domenica delle Palme.
Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA, sia le
confessioni cristiane orientali che quelle occidentali hanno celebrato
la Domenica delle Palme, che commemora l’ingresso di Gesù Cristo a
Gerusalemme, una settimana prima della Pasqua, con preghiere e
processioni.
Tuttavia, le autorità israeliane hanno imposto maggiori restrizioni
militari intorno a Gerusalemme e alla Città Vecchia, negando a molti
l’accesso. I palestinesi, sia musulmani che cristiani, devono ottenere permessi
speciali per attraversare i posti di blocco militari ed entrare nei
luoghi santi della città, tra cui la Chiesa del Santo Sepolcro e la
Moschea di Al-Aqsa.
Secondo Al-Jazeera, ottenere questi permessi è sempre più
difficile. I richiedenti devono superare un “controllo di sicurezza”
israeliano, ricevere una carta d’identità digitale e scaricare
un’applicazione mobile per richiedere l’ingresso; le domande vengono
spesso respinte.
Padre Ibrahim Faltas, vice Superiore Generale della Custodia di Terra
Santa, ha dichiarato che quest’anno sono stati concessi solo 6.000
permessi per i cristiani palestinesi della Cisgiordania, nonostante la
popolazione cristiana dell’area sia stimata in 50.000 persone.
L’attacco a Jinba rivela le profonde disuguaglianze nel
modo in cui i palestinesi sono trattati dal mondo. La nostra sofferenza
viene minimizzata e le nostre storie vengono cancellate a meno che non
ci sia di mezzo un Oscar.
Nel ciclo continuo di violenze che avvengono sotto l’occupazione, anche il piccolo villaggio di Jinba, nella mia comunità di Masafer Yatta,
ha sopportato il peso delle aggressioni di militari e di coloni
israeliani. Mentre l’attenzione globale si sposta spesso su incidenti di
alto profilo, come gli attacchi contro persone note, la tragedia di Jinba è passata largamente inosservata da gran parte della comunità internazionale.
Jinba è un villaggio remoto situato nel sud della Cisgiordania. Come
molte comunità palestinesi che sopravvivono alla violenza degli
occupanti, i residenti di Jinba hanno vissuto anni di espropriazione,
perpetrata sia dai coloni che dall’esercito israeliano. Il villaggio,
come molti altri a Masafer Yatta, nelle Colline a Sud di Hebron, è
situato in un’area in cui gli insediamenti illegali israeliani si stanno
espandendo, e questo sviluppo è spesso accompagnato da attacchi brutali
contro i civili palestinesi.
Mentre la crisi umanitaria si aggrava sempre di più nella
Striscia, e nessun carico di generi di prima necessità entra dai
valichi, i prezzi sono fuori controllo e gli episodi di violenza in
aumento. Ma di chi è la responsabilità di questa situazione?
Il 18 marzo scorso, il governo israeliano ha ordinato all’esercito di
riprendere le azioni militari nella Striscia di Gaza, dopo il cessate il
fuoco che era entrato in vigore il 19 gennaio. L’ingresso agli aiuti
umanitari, però, era stato già bloccato dal 2 marzo precedente. Da
allora «nessun rifornimento commerciale o umanitario è entrato a Gaza»,
come certificato da una nota congiunta delle principali agenzie
internazionali: Ocha, Unicef, Unops, Unrwa, Pam e Oms in
un comunicato del 7 aprile. La situazione all’interno della Striscia di
Gaza, che aveva avuto un momento di respiro grazie agli aiuti che erano
transitati nei due mesi di sospensione delle attività belliche, è di
nuovo molto complessa.
Il genocidio sostenuto dal Golfo: come le monarchie arabe alimentano la macchina da guerra israeliana
Dalle armi e dal commercio alla logistica e allo spionaggio, le monarchie del Golfo Persico stanno tranquillamente sostenendo la guerra dello stato occupante a Gaza e le sue più ampie aggressioni regionali.
Di Mawadda Iskandar, thecradle.co
Il silenzio degli Stati del Golfo Persico, e in molti casi la loro complicità, durante la guerra in corso di Israele contro Gaza non è stato una sorpresa. Questi governi, da tempo distaccati dalla lotta palestinese, hanno coltivato per anni legami cordiali, anche se discreti, con Tel Aviv.
Mentre il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti hanno ufficializzato la normalizzazione dei rapporti con Tel Aviv attraverso gli Accordi di Abramo del 2020 mediati dagli Stati Uniti, altri Stati come l’Arabia Saudita e il Qatar hanno svolto un ruolo più silenzioso ma altrettanto cruciale. Riyadh, spesso descritta come l’artefice della normalizzazione, e Doha, che si nasconde dietro l’etichetta di “mediatore”, hanno entrambe aiutato lo Stato occupante in modo cruciale.
STRISCIA DI SANGUE Presi, giustiziati e gettati in una fossa comune, poi dall’esercito solo bugie. La verità riemerge dal telefono di una delle 15 vittime
Eliana Riva
Le menzogne dell’esercito israeliano sono state smascherate e questa volta nessuno potrà fingere di non vedere. O di non sentire. La voce di un uomo che per cinque minuti e mezzo si prepara ad essere ucciso, prega, chiede perdono e ricorda a se stesso che morirà perché ha scelto di aiutare. È quella di un paramedico, uno dei 15 soccorritori che sono stati giustiziati dai militari di Tel Aviv a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.
IL SUO CORPO, insieme a quello dei suoi colleghi, è stato recuperato alla fine di marzo, dopo una settimana di angoscia e preoccupazione durante la quale non si avevano notizie della squadra inviata a soccorrere le vittime degli attacchi israeliani. Erano partiti il 23 marzo ma giunti nel quartiere di Tal al-Sultan avevano avuto solo il tempo di comunicare alla sala operativa di essere circondati e attaccati dai militari. Poi nessuna notizia. Per otto giorni Israele si è rifiutato di dare informazioni sulla sorte del gruppo, anche solo di comunicare se fossero vivi o morti. Quando finalmente ha consentito l’ingresso, i soccorsi hanno dovuto recuperare i resti dei colleghi da una fossa comune. Alcuni sono stati ritrovati legati e con un colpo di pistola alla testa.
TEL AVIV NON HA NEGATO di aver aperto il fuoco, ma ha dichiarato di averlo fatto contro «veicoli sospetti» che avanzavano «senza fari o segnali di emergenza». Sono state queste le parole di Nadav Shoshani, un portavoce dell’esercito dello stato ebraico.
Eppure, dal cellulare di una delle vittime è stato rinvenuto un video (diffuso ieri dal New York Times) che riprende il convoglio proprio nel momento in cui arriva sul posto e che smonta completamente la versione israeliana. Un mezzo dei vigili del fuoco e diverse ambulanze percorrono la via di Tal al-Sultan alle prime ore dell’alba, hanno tutti i lampeggianti e i fari accesi, le scritte di segnalazione sono perfettamente visibili. Quando sul lato sinistro della carreggiata si vede la carcassa di un’altra ambulanza, la carovana si ferma per controllare. Prima di scendere, il paramedico con il cellulare si accorge che tutt’intorno ci sono i soldati. Un membro della Mezzaluna palestinese si avvicina al mezzo danneggiato, indossa la divisa rossa catarifrangente con il simbolo del soccorso. Fa solo pochi passi prima che inizino gli spari. Lunghe raffiche, mentre il paramedico continua a registrare. Anche se ora si vede solo buio, si sente la sua voce che recita le preghiere e chiede perdono: «Scusami mamma, questa è la strada che ho scelto per salvare le persone». Urla, ordini gridati in ebraico, mentre le raffiche si diradano, diventano più brevi ma più vicine.
DALLE IMMAGINI SATELLITARI recuperate dai media internazionali poco dopo la strage, si scorgono i veicoli sepolti dalla sabbia, tre bulldozer militari e un escavatore e due barriere di terra ai lati di quella che si sarebbe rivelata essere una fossa comune. Israele ha affermato di aver ucciso nove uomini armati di Hamas e del Jihad Islami, ma nella fossa non vi erano corpi di combattenti, solo quelli dei soccorritori. Un membro della squadra è ancora disperso e Tel Aviv si rifiuta di far sapere se sia stato arrestato o ammazzato. La protezione civile palestinese ha chiesto una commissione di inchiesta internazionale per indagare sul massacro. Anche la Mezzaluna rossa, aggiungendo che «L’impunità in un singolo luogo genera impunità in ogni luogo del mondo».
Tel Aviv ha dichiarato che starebbe indagando sull’accaduto. Ma solo in casi rari il Meccanismo di accertamento e valutazione dei fatti dello Stato maggiore (Ffam) ha consentito la prosecuzione delle inchieste sui crimini israeliani e ancora più raro è stato l’avvio di un procedimento penale.
La portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Tammy Bruce, ha già sposato la versione dell’esercito: «per troppo tempo Hamas ha abusato delle infrastrutture civili per proteggersi». Domani il premier israeliano Netanyahu volerà negli Stati Uniti per il suo secondo incontro con il presidente Donald Trump, durante il quale discuteranno di Gaza e della guerra.
INTANTO, A GAZA continuano i massacri. Almeno 30 persone sono state uccise dall’alba al tramonto. Le Nazioni Unite hanno informato che 142mila persone sono state sfollate solo tra il 18 e il 23 marzo. In occasione della Giornata del bambino palestinese, il 5 aprile, l’Ufficio centrale di statistica ha riportato che 17.954 bambini sono stati uccisi dal 7 ottobre 2023, 274 sono nati e morti in guerra. 876 avevano meno di un anno. Il direttore degli ospedali da campo di Gaza, Marwan al-Hams, ha dichiarato ieri che il tasso di mortalità tra i pazienti affetti da insufficienza renale è salito al 42% dei malati totali, a causa della situazione terribile della sanità e dell’embargo di medicinali impostto da Tel Aviv.
(di Marco Pasciuti – ilfattoquotidiano.it) – Operatori umanitari uccisi nelle loro ambulanze mentre si recavano sul posto di un bombardamento. I corpi sepolti insieme ai mezzi “schiacciati” in “una fossa comune”. E’ l’altra faccia dell’operazione militare avviata il 18 marzo dalle Israel Defense Forces a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dopo la fine della tregua con Hamas. Il nuovo spaccato è emerso domenica, quando la Mezzaluna Rossa palestinese ha dichiarato di aver recuperato i corpi di 15 soccorritori uccisi dall’esercito israeliano che il 23 marzo ha aperto il fuoco contro alcuni veicoli di soccorso. Otto di questi appartengono a medici della Palestine Red Crescent Society, ha fatto sapere l’organizzazione, sei erano membri della Protezione civile di Gaza e uno appartiene a un dipendente di un’agenzia delle Nazioni Unite. Un altro medico risulta ancora disperso.
L’organizzazione ha affermato che le persone uccise “sono state prese di mira dalle forze di occupazione israeliane mentre svolgevano i loro compiti umanitari e si dirigevano verso la zona di Hashashin a Rafah per prestare i primi soccorsi a un certo numero di persone ferite dai bombardamenti israeliani nella zona”. In una precedente dichiarazione la Mezzaluna Rossa aveva affermato che i corpi “sono stati recuperati con difficoltà poiché erano sepolti nella sabbia, e alcuni mostravano segni di decomposizione”. Anche la Protezione civile di Gaza ha reso noto il recupero di 15 cadaveri, aggiungendo che il dipendente dell’Onu deceduto apparteneva all’Unrwa, agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, da mesi nel mirino di Israele che la considera vicina ad Hamas.
Jonathan Whittall, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) a Gaza, ha confermato che i corpi sono stati sepolti. Il funzionario dell’Onu ha raccontato su X che il suo personale aveva supportato la Palestine Red Crescent Society e la Protezione civile nel recupero dei corpi da “una fossa comune a Rafah segnalata dalla luce di emergenza di una delle loro ambulanze distrutte”. “Sette giorni fa, mentre le forze israeliane avanzavano su #Rafah – ricostruisce Whittall in 6 post sul social network -, 10 PRCS (membri della Mezzaluna Rossa, ndr) e 6 soccorritori della Protezione Civile sono stati inviati a raccogliere i feriti. Sono state colpite tutte e cinque le ambulanze e un camion dei pompieri, insieme a un veicolo delle Nazioni Unite arrivato più tardi”. “Un sopravvissuto ha raccontato che le forze israeliane avevano ucciso entrambi i membri dell’equipaggio nella sua ambulanza. Per giorni, l’Ocha ha coordinato il raggiungimento del sito, ma il nostro accesso è stato concesso solo 5 giorni dopo“.
“Tornando il giorno successivo – prosegue il capo dell’agenzia Onu -, siamo finalmente riusciti a raggiungere il sito e abbiamo scoperto una scena devastante: ambulanze, il veicolo delle Nazioni Unite e il camion dei pompieri erano stati schiacciati e parzialmente sepolti. Dopo ore di scavi, abbiamo recuperato un corpo: un lavoratore della Protezione Civile sotto il suo camion dei pompieri”. “Oggi – si legge nell’ultimo dei 6 post -, il primo giorno dell’Eid, siamo tornati e abbiamo recuperato i corpi sepolti di 8 PRCS, 6 della Protezione civile e 1 membro dello staff ONU. Sono stati uccisi nelle loro uniformi. Alla guida dei loro veicoli chiaramente contrassegnati. Indossando i loro guanti. Mentre andavano a salvare vite”.
L’incidente è avvenuto il 23 marzo nel quartiere Tal al-Sultan, a Rafah, vicino al confine egiziano, pochi giorni dopo che l’esercito aveva ripreso i bombardamenti su Gaza dopo una tregua durata quasi due mesi. La Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (FICR) ha affermato di essere “indignata per la morte degli otto medici”. “Erano umanitari – ha affermato il segretario generale dell’IFRC Jagan Chapagain -. Indossavano emblemi che avrebbero dovuto proteggerli; le loro ambulanze erano contrassegnate con chiarezza”. “Il diritto umanitario internazionale non potrebbe essere più chiaro: i civili devono essere protetti; gli operatori umanitari devono essere protetti. I servizi sanitari devono essere protetti”, conclude la nota della Ficr, secondo cui l’incidente rappresenta l’attacco più mortale ai danni degli operatori della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa in tutto il mondo dal 2017.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa si è detto “inorridito” dal fatto che i medici “siano stati uccisi mentre svolgevano il loro lavoro”. “I loro corpi sono stati identificati oggi e sono stati recuperati per una dignitosa sepoltura”, ha affermato il Cicr. “L’elevato numero di personale medico ucciso durante questo conflitto è devastante”, ha aggiunto.
Sabato la Mezzaluna Rossa aveva accusato le autorità israeliane di essersi rifiutate di consentire le operazioni di ricerca del suo equipaggio. L’esercito israeliano ha ammesso che le sue truppe avevano aperto il fuoco sulle ambulanze, dichiarando che le sue forze hanno “aperto il fuoco contro i veicoli di Hamas ed eliminato diversi terroristi di Hamas” e condannando “l’uso ripetuto” da parte di “organizzazioni terroristiche nella Striscia di Gaza di ambulanze per scopi terroristici”.
Il virus del fascismo si è solo assopito in Occidente dopo la sua apparente distruzione durante la Seconda Guerra Mondiale.
I primi indicatori sono ovunque che il fascismo – un’ideologia che sposa gerarchie razziste del valore umano, di chi deve avere diritti e chi no – si sta riaffermando negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa.
Si intensificano la diffidenza e la paura nei confronti degli stranieri. Gli immigrati sono visti come distruttori dell’Occidente dall’interno, inconciliabili e antagonisti con una civiltà e una cultura “superiori”. Negli Stati Uniti, un residente permanente – apparentemente il primo di molti – è stato fatto sparire nel sistema carcerario statunitense, in attesa della sua espulsione.
I discorsi politici di opposizione ai governi occidentali e ai loro crimini vengono stigmatizzati e schiacciati con leggi vecchie e nuove. Le istituzioni accademiche, apparentemente liberali, si stanno ribellando perché minacciate da sanzioni legali e finanziarie. Ci sono pochi motivi per credere che i sistemi giudiziari eserciteranno un controllo significativo sul potere esecutivo.
L’Occidente sta muovendo i primi passi formali lungo un percorso politico diverso, la cui destinazione finale conosciamo bene se guardiamo alla nostra storia relativamente recente.
L’estrema destra sta ora dettando l’agenda con lo stesso sorriso da gatto del Cheshire, sia che si tratti della star miliardaria della TV Donald Trump negli Stati Uniti, sia che si tratti dell’osannato venditore di auto usate di Westminster Nigel Farage nel Regno Unito.
Ci sono partiti di orientamento fascista nei governi di Italia, Ungheria, Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Paesi Bassi e Croazia. I partiti di estrema destra si contendono il potere in Francia, Germania, Austria, Svezia e, per la prima volta, in Gran Bretagna. Questa tendenza si è riflessa in un’impennata di delegati ultranazionalisti eletti al Parlamento Europeo lo scorso anno.
Gli unici baluardi disponibili sono tecnocrati senza sangue come il primo ministro britannico Keir Starmer, il presidente francese Emmanuel Macron e l’ex vicepresidente statunitense Kamala Harris, che propongono ancora le stesse politiche fallimentari che hanno aperto la porta ai fascisti.
Nascondersi in bella vista
Questi sviluppi non sono arrivati all’improvviso. Sono stati realizzati nel corso di decenni.
Questo non deve sorprendere, perché il principale depositario delle idee fasciste dell’Occidente dalla Seconda Guerra Mondiale in poi si nasconde in bella vista: Israele.
La repressione non celata da parte dell’Occidente dei diritti più fondamentali, come la libertà politica e accademica, viene attuata in nome della protezione di Israele e di quegli ebrei occidentali che ne applaudono i crimini.
Il fascismo sta uscendo dall’ombra negli Stati Uniti e in Europa, mentre Israele commette ostentatamente un genocidio contro i palestinesi di Gaza, armato e coperto diplomaticamente dai suoi patroni occidentali.
Israele ha continuato, con il cospicuo appoggio dell’Occidente, a fare le stesse cose che gli stessi stati occidentali trovavano impossibile giustificare all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.
Quando l’Occidente veniva costretto con riluttanza a processi di decolonizzazione in Africa e in Asia, a Israele è stata data licenza e sostegno infinito per far crescere un progetto etno-nazionalista violento nella patria di un altro popolo.
Il suprematismo ebraico era sempre rispettabile, anche se il suprematismo bianco cadeva in disgrazia. Israele è diventato sempre più audace nelle sue espulsioni e nelle sue politiche segregazioniste. Ha ammassato i palestinesi in enclave sempre più piccole, dove sono stati privati dei loro diritti e sottoposti a continui abusi militari.
Tutto questo è continuato anche quando, a metà degli anni Sessanta, il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti ha finalmente rovesciato le leggi segregazioniste Jim Crow del profondo Sud. Ed è continuato anche quando, negli anni ’90, i leader bianchi del Sudafrica dell’apartheid, un altro progetto coloniale occidentale, sono stati costretti a un processo di verità e riconciliazione con la maggioranza nera.
Israele è rimasto l’alleato favorito dell’Occidente, anche se spingeva con decisione contro quella che altrove veniva presentata come l’inesorabile marea del cambiamento progressivo.
Comportamento mostruoso
L’ascesa del fascismo in gran parte dell’Europa negli anni Trenta e nei primi anni Quaranta è stato un campanello d’allarme che ha portato le leadership occidentali a rafforzare le istituzioni internazionali, la cui parola d’ordine era diritti umani.
Le Nazioni Unite, create nel 1945, avrebbero dovuto incarnare questi valori, emanando tre anni dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dando vita a organismi giuridici come la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale per chiedere conto delle loro azioni ai regimi canaglia.
L’obiettivo era quello di evitare un ritorno agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, dai campi di sterminio nazisti ai bombardamenti degli Alleati sulle città tedesche e giapponesi.
Per questo motivo il progetto etnico di Israele di colonizzare la Palestina – eliminando o uccidendo i palestinesi per sostituirli con gli ebrei – si è trovato in un continuo confronto con i nuovi organi di controllo, violando decine di risoluzioni delle Nazioni Unite. Washington era sempre pronta a proteggerlo dalle ripercussioni.
Non che altri paesi non abbiano commesso crimini terribili. Dopo tutto, nella lotta per rimanere il capobranco mondiale durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno distrutto vaste aree del Sud-Est asiatico nelle campagne di bombardamento legate alla guerra del Vietnam.
Ma a differenza degli stati occidentali, Israele non si è attenuto nemmeno a parole ai presunti principi dell’ordine internazionale del secondo dopoguerra. Il suo principio organizzativo si opponeva direttamente alla dichiarazione delle Nazioni Unite. Israele rifiutava esplicitamente i diritti umani universali e le sue Leggi Fondamentali, che equivalgono a una costituzione, escludevano il principio di uguaglianza.
Nel frattempo, la costante oppressione militare di Israele nei confronti del popolo palestinese è stata una flagrante violazione delle Convenzioni di Ginevra. Come nell’era dell’apartheid in Sudafrica, dalla fondazione di Israele nel 1948 non c’è stato giorno in cui Israele non abbia commesso una violenza strutturale contro il popolo nativo che cerca di sostituire.
Non c’è stato giorno in cui non abbia segregato i palestinesi, distrutto le loro comunità, costretto a lasciare le loro terre, sradicato i loro raccolti, bloccato le loro strade, messo persone in campi di tortura, isolate dal mondo – o uccise.
Avrebbe portato a termine questo processo di sradicamento prima, più velocemente e in modo ancora più spudorato, se non fosse stato per il freno di contenimento del diritto internazionale e per la brutta figura di Stati Uniti ed Europa nel sostenere questo comportamento mostruoso.
Ma anche questi vincoli sono quasi evaporati. L’attuale genocidio a Gaza, fin troppo visibilmente sponsorizzato dall’Occidente, può avvenire solo in un clima politico in cui l’idea dei diritti umani universali è stata svuotata; in cui l’idea che la vita umana sia sacrosanta ha perso il suo significato.
Il diritto stiracchiato e deformato
La politica israeliana si è ostentatamente divisa tra una fazione cosiddetta “liberale” e il sionismo di destra, come se fosse in atto una grande lotta ideologica. Ma in realtà, tutta la politica israeliana è di natura fascista.
Entrambe le ali del sionismo si basano sull’idea che gli ebrei israeliani – la maggior parte dei quali immigrati di recente – abbiano diritti superiori rispetto ai nativi palestinesi e che qualsiasi palestinese che si rifiuti di sottomettersi alla servitù permanente debba essere punito.
Il dibattito all’interno del sionismo non riguarda se ciò debba avvenire o meno. Si tratta di stabilire dove debbano essere tracciate le linee di demarcazione. Qual è l’estensione del territorio in cui gli ebrei godono indiscutibilmente di diritti superiori e quanto estreme dovrebbero essere le punizioni per i palestinesi che disobbediscono?
Queste argomentazioni hanno rispecchiato in gran parte le spaccature laiche e religiose all’interno di Israele, con parti della società che hanno dato la priorità alle preoccupazioni occidentali per la reputazione di Israele sulla scena internazionale.
Nel corso dei decenni, di fronte al fatto che i palestinesi si rifiutano di cooperare con il suo principio organizzativo – sottomettersi o essere puniti – la maggioranza israeliana è passata da un sionismo liberale ossessionato dalle apparenze a un sionismo di estrema destra, trionfalista e senza appello. È per questo che nell’attuale governo siedono con orgoglio fascisti autodichiarati.
Ed è per questo che il mese scorso il partito di governo israeliano, il Likud, è diventato membro osservatore di Patriots for Europe, un’alleanza di partiti europei di estrema destra, spesso con legami nazisti e neonazisti. Alla conferenza inaugurale di Madrid, il Likud ha ricevuto un caloroso benvenuto, con i leader dell’alleanza che hanno sottolineato i molti “valori condivisi”.
Nulla di tutto ciò è avvenuto con discrezione. Israele è l’ultimo grande avamposto coloniale dell’Occidente. È il luogo in cui le industrie militari occidentali testano la loro potenza sui palestinesi, che fungono da cavie da laboratorio.
È il luogo in cui la forza del diritto internazionale viene messa alla prova, i suoi principi vengono stiracchiati e deformati da abusi senza fine, per poi essere palesemente disobbediti.
Ed è qui che è stata elaborata una narrazione del vittimismo, della “civiltà” ebraica e cristiana, per giustificare una guerra contro il popolo palestinese e, più in generale, contro i musulmani.
Una storia di copertura perfetta
Tutto questo dovrebbe continuare, immune da critiche o obiezioni. L’Occidente ha sviluppato una storia di copertura perfetta per mettere al riparo la sua progenie fascista: quelli che si oppongono alla sottomissione e alla brutalizzazione del popolo palestinese negano al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione. Sono quindi “antisemiti”.
Parallelamente, ogni palestinese che resiste alla sottomissione e alla brutalizzazione è un terrorista. Ergo, chi si allea con i palestinesi è in combutta con i terroristi.
In un ulteriore balzo, poiché l’Occidente ha considerato i palestinesi come parte delle masse musulmane del mondo arabo – anche se ci sono molti cristiani e drusi palestinesi – la resistenza palestinese all’oppressione israeliana può essere presentata come un’appendice di una presunta minaccia islamista all’Occidente.
In realtà, nessun gruppo palestinese sta combattendo per conquistare l’Occidente o per imporre la sharia in Europa e negli Stati Uniti. I gruppi di resistenza palestinesi cercano solo di liberare la loro patria da decenni di oppressione coloniale e pulizia etnica.
Prevedibilmente, più a lungo è continuata l’oppressione, con l’esorbitante sostegno occidentale, più i palestinesi che devono affrontare gli abusi di Israele sono stati attratti da gruppi militanti meno accomodanti, come Hamas, che è proscritto come organizzazione terroristica nel Regno Unito e in altri paesi.
Non importa. Israele viene presentato come una piccola, eroica nazione che difende l’Occidente dalle orde musulmane. In una narrazione che inverte completamente la realtà, Israele funge da baluardo umanitario contro la barbarie palestinese e, per estensione, musulmana.
È questa premessa che rende possibile a Michael Gove, ex ministro del governo britannico, scrivere un articolo nel bel mezzo del genocidio di Israele con il titolo: “L’IDF [esercito israeliano] dovrebbe essere candidato al Premio Nobel per la Pace”.
È questa premessa che permette a uno scrittore rispettato, Howard Jacobson, di chiedere il silenzio di fronte all’uccisione e alla mutilazione di decine di migliaia di bambini palestinesi a Gaza, perché parlare in loro difesa equivale a una “accusa del sangue” (blood libel) contro il popolo ebraico.
È questa premessa che permette a Melanie Phillips, un punto fermo del giornalismo nei panel show della BBC, di farla franca scrivendo: “Se oggi sostenete la causa araba palestinese, state facilitando l’odio squilibrato e omicida nei confronti degli ebrei”.
Si tratta di narrazioni autocommiserative e deliranti che i nostri antenati europei – che hanno saccheggiato l’Africa delle sue ricchezze, ridotto in schiavitù i suoi popoli “selvaggi” o ucciso milioni di persone che si rifiutavano di accettare la “superiorità” civile dell’Occidente – sarebbero stati fin troppo disposti a sposare.
Arrivare sotto mentite spoglie
Il fascismo non sarebbe mai tornato in Europa o negli Stati Uniti vestito con abiti nazisti. Non sarebbe mai arrivato indossando stivaloni e brandendo svastiche.
In effetti, era fin troppo prevedibile che sarebbe arrivato sotto mentite spoglie, vestito in giacca e cravatta, telegenico, caratterizzando i suoi avversari, e non se stesso, come nazisti.
È qui che Israele si è rivelato ancora una volta molto utile, perché non è servito solo come modello per il fascismo, preservando e ringiovanendo le idee di superiorità razziale, colonizzazione e genocidio. Per decenni, ha anche permesso agli stati occidentali di dare al fascismo israeliano una legittimità morale. Il sostegno alle gerarchie razziali di Israele, in cui le vite dei palestinesi sono del tutto sacrificabili, è stato venduto come necessario per “proteggere gli ebrei”.
Questa premessa ha permesso al genocidio di diventare una causa morale rispettabile. È proprio per questo che Starmer si è sentito autorizzato a dire che Israele aveva il “diritto” di negare a più di due milioni di uomini, donne e bambini palestinesi cibo, acqua e carburante. Un genocidio che Starmer avrebbe rifiutato in altre circostanze – e che effettivamente ha rifiutato – era apparentemente accettabile finché era Israele a compierlo.
Per questo motivo, all’inizio di questo mese, un rapporto delle Nazioni Unite sugli “atti di genocidio” di Israele non ha avuto quasi alcun riscontro nei media occidentali. Il rapporto mostra come Israele abbia reso di routine la violenza sessuale e lo stupro contro i palestinesi che detiene arbitrariamente come merce di scambio per gli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza.
Ed è per questo che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, un criminale di guerra ricercato e latitante, è ancora ben accetto nelle capitali occidentali, così come i suoi generali che hanno portato avanti il genocidio a Gaza.
Calcolo deformato
L’infinita indulgenza dell’Occidente verso la varietà di fascismo di Israele – il sionismo – ha permesso alle sue idee di infiltrarsi silenziosamente nelle nostre società, dove il sionismo è ancora trattato con un rispetto quasi reverenziale.
Se le gerarchie razziali sono una buona cosa in Israele, perché non dovrebbero esserlo anche negli Stati Uniti e in Europa? Questo è il motivo per cui un’ampia fetta della base di Trump si definisce orgogliosamente “sionista bianco“. Vedono uno stato-fortezza ebraico, Israele, come modello per gli Stati Uniti come stato-fortezza bianco contro le loro paure della “Grande Sostituzione”.
Se “proteggere gli ebrei” in Israele può giustificare qualsiasi crimine dello stato israeliano contro i palestinesi, perché “proteggere gli ebrei” non può giustificare anche il comportamento illegale degli stati occidentali nei confronti delle loro popolazioni?
“Proteggere gli ebrei” significa che i discorsi critici nei confronti di Israele devono essere vietati, anche se Israele commette crimini di guerra e genocidi, perché tali critiche rischiano di offendere le organizzazioni ebraiche nazionali che tifano per Israele.
Una
manifestante chiede il rilascio dello studente della Columbia
University Mahmoud Khalil, durante una manifestazione davanti alla Casa
Bianca il 18 marzo 2025. (Andrew Harnik/Getty Images/AFP)
Anche la libertà accademica deve essere schiacciata, per proteggere i sentimenti di quegli studenti e professori ebrei che pensano che il massacro di massa dei bambini palestinesi sia un prezzo accettabile da pagare perché Israele riaffermi la sua deterrenza militare.
E con una logica auto-razionalizzante, tutti gli ebrei occidentali che non si prostrano davanti a Israele con sufficiente entusiasmo sono considerati “ebrei sbagliati” – o “palestinesi”, secondo il nuovo insulto che Trump ha rivolto a Chuck Schumer, il leader della minoranza ebraica del Senato degli Stati Uniti.
In questo calcolo distorto ed egoistico dei diritti umani, la sensibilità degli ebrei sionisti è posta all’apice e il diritto dei palestinesi a non essere uccisi in fondo.
È proprio per questo che le autorità federali statunitensi stanno cercando di creare un precedente sequestrando e deportando un residente permanente, Mahmoud Khalil, per aver contribuito a guidare le proteste degli studenti contro il genocidio di Israele a Gaza. È accusato, senza alcuna prova, di essere “allineato con Hamas”, di “sostenere il terrorismo”, di avere opinioni antisemite e di desiderare la distruzione dell’Occidente da parte dell’estremismo islamico.
Proprio come Israele ha reclutato l’intelligenza artificiale per selezionare a Gaza i suoi obiettivi per l’esecuzione, usando le categorie più ampie possibili come suggerimenti algoritmici, la Casa Bianca sta usando l’intelligenza artificiale per selezionare nel modo più ampio possibile chi è allineato con Hamas, chi è un terrorista, chi è un antisemita.
Allo stesso tempo, le istituzioni accademiche statunitensi si vedono revocare le sovvenzioni federali con la motivazione che non stanno facendo abbastanza per affrontare l‘”antisemitismo”, reprimendo le proteste contro il genocidio. Le università obbedienti si affrettano ad unirsi alla repressione governativa.
L’amministrazione Trump sta inquadrando queste mosse, e senza dubbio altre ne verranno, come parte di una “guerra all’antisemitismo” – il seguito della “guerra al terrorismo”.
Nel processo, Washington sta creando il terreno per demonizzare vaste fasce della popolazione studentesca statunitense e ampi settori della comunità ebraica, in particolare i giovani ebrei non disposti a permettere che venga commesso un genocidio in loro nome. Tutti ora rischiano di essere diffamati come “allineati al terrorismo”.
L’amministrazione Trump non è affatto sola. Il governo di Starmer nel Regno Unito, come il suo predecessore, ha accuratamente coltivato un clima politico in cui giornalisti, studiosi, studenti, organizzatori di proteste, politici e attivisti – molti dei quali ebrei – vengono additati come odiatori di ebrei e le loro proteste contro il genocidio come antisemite.
Il governo britannico ha tirato fuori una legislazione sul terrorismo draconiana e vagamente formulata per indagare e incriminare chi è accusato di esprimere opinioni o affermare fatti troppo critici nei confronti di Israele – critiche che, secondo il governo, potrebbero “incoraggiare il sostegno” a Hamas.
La libertà di parola, il diritto di protesta e la libertà accademica – i principi fondamentali della democrazia liberale – sono stati frettolosamente abbandonati, e ora si suppone che siano una minaccia per la democrazia.
Una gerarchia del valore umano
C’è un disegno i cui contorni si stanno delineando sempre più nitidamente.
L’amministrazione Trump ha resuscitato l’Alien Enemies Act, un’oscura legislazione del XVIII secolo concepita per conferire all’esecutivo poteri straordinari per far sparire gli stranieri in tempo di guerra senza alcun giusto processo.
È stata invocata solo in tre periodi storici – l’ultima volta per imprigionare senza processo decine di migliaia di persone di origine giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale.
Trump ha sperimentato questa legge per la prima volta su un gruppo che presume nessuno cercherà di difendere: le persone che i suoi funzionari definiscono criminali venezuelani. Ma si può essere certi che l’amministrazione è intenzionata a estendere l’applicabilità della legge in modo molto più ampio.
La precedente amministrazione di Trump aveva tirato fuori un’altra legge arcinota, la Legge sullo Spionaggio del 1917, per usarla contro un non cittadino, Julian Assange, trattando il suo giornalismo che denuncia i crimini di guerra statunitensi e britannici in Iraq e Afghanistan come “spionaggio”. La legge fu approvata in fretta e furia durante la Prima Guerra Mondiale.
L’obiettivo di Washington nel prendere di mira Assange era quello di creare un precedente legale in base al quale avrebbe potuto catturare chiunque, in qualsiasi parte del mondo, e imprigionarlo a tempo indeterminato come spia.
Si può essere certi che i funzionari di Trump stiano frugando nei polverosi libri di legge alla ricerca di altre leggi a lungo ignorate che possano essere riproposte per reprimere il dissenso e imprigionare coloro che ostacolano il governo. Ma il più oscuro dei precedenti esiste già, fornito da Israele.
Se Israele può sterminare il popolo palestinese che ha oppresso per decenni per prevenire quella che, in modo poco plausibile, sostiene essere una futura minaccia esistenziale da parte di un piccolo gruppo armato, ricevendo al contempo un vigoroso sostegno occidentale, perché gli Stati Uniti e l’Europa non possono fare altrettanto? Possono ricorrere a simili affermazioni di minaccia esistenziale per normalizzare campi di internamento, deportazioni o addirittura programmi di sterminio.
Gli ebrei tedeschi si consideravano cittadini tedeschi fino a quando il governo di Adolf Hitler decise che erano un elemento estraneo a cui applicare regole diverse.
Non è successo da un giorno all’altro. Si è trattato di uno slittamento graduale e cumulativo delle norme giuridiche che ha eroso la capacità dei gruppi presi di mira di resistere e dei loro sostenitori di protestare, mentre la maggioranza ha seguito ciecamente la situazione.
In realtà, il fascismo non è mai scomparso. L’Occidente lo ha semplicemente esternalizzato a uno stato cliente il cui compito era, per conto dell’Occidente, di portare avanti in Medio Oriente le stesse brutte idee di una gerarchia del valore umano.
Ci identifichiamo con Israele perché ci viene detto che rappresenta noi, i nostri valori e la nostra civiltà. La verità è che lo rappresenta, ed è per questo che la responsabilità di 18 mesi di genocidio a Gaza ricade su di noi. Questo è il nostro genocidio. E prima ancora di essere completato, si sta ritorcendo contro di noi.
Jonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo.