18 settembre 2025

La guerra delle parole di Israele per giustificare le violenze e le devastazioni

Ieri il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha pubblicato sui suoi social un video che mostra una torre bombardata nella Striscia di Gaza, e la didascalia: «la torre del terrore al Ghafri si schianta in mare. Stiamo soffocando i focolai di terrorismo». Il giorno prima aveva pubblicato un video che mostra la distruzione dell’Università Islamica a Gaza City, la cui didascalia recita: eliminare le fonti di incitamento e terrorismo.

di FRANCESCA MANNOCCHI

Mentre l’esercito israeliano si prepara a un’occupazione su vasta scala di Gaza City, intensificando le operazioni nel cuore urbano della Striscia, distruggendo torri residenziali e sedi universitarie che fungevano da rifugio per gli sfollati, emerge con sempre maggiore chiarezza che anche il linguaggio usato dal governo israeliano è un tassello dell’arsenale.

Un linguaggio che non si limita, cioè, ad accompagnare l’avanzata militare ma la precede, ne costruisce la narrazione, ne plasma la legittimità e ne previene il dissenso, un linguaggio che è dispositivo della guerra in grado di tradurre un’invasione annunciata in una misura difensiva, e la distruzione sistematica di un’intera città in un’operazione chirurgica di “sicurezza”.

Un linguaggio per cui ogni crimine è nascosto dietro la retorica della guerra al terrore.

Sempre due giorni fa, sempre il ministro della Difesa Katz, pubblicando il video dell’ennesimo palazzo residenziale disintegrato dalle bombe israeliane, aveva scritto: «House of cards. The skyline of Gaza is changing». Il profilo urbano di Gaza, ci dice Katz, sta cambiando.

Un messaggio (all’opinione pubblica interna e agli alleati) che va oltre la retorica bellica: Gaza non è più una città, ma un obiettivo da demolire, non più spazio urbano abitato, ma materiale da spianare.

Quella che Katz chiama «trasformazione» è in realtà l’annientamento di Gaza City e il cambiamento dello «skyline» è la distruzione della sua identità.

«House of cards. The skyline of Gaza is changing» è una frase che sintetizza la brutalità della strategia militare, un lessico che non è un sottoprodotto della violenza, una sua conseguenza, al contrario è essa stessa azione bellica, non accidentale ma sofisticata, pervasiva.

Precede l’attacco, lo legittima e lo spettacolarizza.

07 agosto 2025

Sono di Gaza, dove la tenacia non muore

Testimonianza «Sono un’architetta che non costruisce più nulla se non la memoria che rischia di essere cancellata, l’architetta condannata a scrivere nella polvere della sua casa diventata cenere»

Alia Shamlakh

Una ragazza palestinese ispeziona la devastazione causata da un attacco israeliano – foto Abed Rahim Khatib/Ap   

Dall’apocalisse di Gaza, in presenza di una lunga morte, in un Paese dove la vita è diventata un atto quotidiano di sopravvivenza, vi scrivo la mia testimonianza sanguinante – io, Alia Shamlakh. L’architetta che non costruisce più nulla se non la memoria che rischia di essere cancellata, l’architetta condannata a vivere tra le mappe distrutte e a scrivere nella polvere della sua casa diventata cenere. Eppure, io continuo a stare sopra le macerie e a cercare di portare a termine la mia missione, anche se tutto intorno a me distoglie lo sguardo. Scrivo la mia testimonianza con la speranza che sia un grido udibile di fronte a un mondo che è diventato sordo al crimine.
HO 37 ANNI, di cui due trascorsi nel cuore del massacro. Nei giorni del genocidio e della feroce carestia. Due anni di spostamenti ripetuti e continui, di tentativi di sopravvivenza, di danze sul filo del rasoio tra la vita e la morte. Qui la sopravvivenza è un evento eccezionale, non perché sappiamo come sopravvivere, ma perché schiviamo la morte per caso, è una questione di pochi minuti o di coincidenza. La nostra casa è stata bombardata mentre eravamo dentro. Noi, i nostri figli e i iei genitori anziani. Non siamo stati feriti, nessuno è morto in quel momento, ma la morte ci ha circondato e accompagnato, in tutti i luoghi che pensavamo «sicuri». Ci siamo rifugiati in un ospedale per sicurezza, ma abbiamo scoperto che ci stavamo rifugiando in una trappola. Piovevano proiettili ed eravamo intrappolati con centinaia di sfollati, affamati, assetati, terrorizzati. Le pareti tremavano, dal soffitto si respirava fumo, i nostri cuori morivano ogni volta e non venivano seppelliti.

Siamo fuggiti a sud di Gaza, a casa di un parente a Khan Younis, poi siamo fuggiti di nuovo all’estremo sud, a Rafah, poi a Deir al-Balah e poi di nuovo, speriamo per l’ultima volta, a Gaza City. Qui, all’inferno, non c’è spazio per pianificare. Bisogna improvvisare, tanto anche le aree «di sopravvivenza» vengono bombardate. Ricominciamo ogni volta, non perché siamo «forti», come alcuni amano dire, ma perché fermarsi è un lusso che non possiamo concederci. Stiamo solo salvando i nostri figli dall’orrore del momento, in attesa dell’orrore successivo.

IN 20 MESI di sfollamento e di fuga dalla morte, abbiamo costruito temporaneamente la nostra vita in una tenda. Una piccola tenda sulla strada che a malapena riesce a contenere il nostro respiro, figuriamoci tredici corpi. Nessuna sicurezza. Nessuna privacy. Nessun bene essenziale per vivere. Nel nostro sfollamento i nostri figli hanno dormito sulle piastrelle, sulla terra, all’aperto. Hanno sofferto la fame.

ABBIAMO STIPENDI e soldi, ma non servono a nulla quando non c’è più nulla. Stiamo ancora vivendo una carestia feroce che ci ha fatto rimpiangere quel poco cibo in scatola che potevamo trovare qualche mese fa. I nostri corpi si sono indeboliti, il peso è sceso, la memoria si è offuscata, la concentrazione si è affievolita. Tutti noi abbiamo contratto epatiti, malattie della pelle, infezioni e la nostra psiche è danneggiata come se ci stessimo lentamente consumando fino a esaurirci.

TUTTO NELLA NOSTRA VITA è tornato a un livello primitivo. Cuciniamo con la legna da ardere. Facciamo il bagno ai nostri figli con l’acqua che portiamo da lontano e che riscaldiamo sul fuoco. Facciamo lunghe code per un litro d’acqua. Viaggiamo su carri distrutti, logori, a volte trainati da animali. Sopravvivo per continuare a lavorare. Sì, anche se non sarei nelle condizioni, vado a lavorare perché la missione che ho scelto, o che ha scelto me, non può essere abbandonata. Lavoro per un’organizzazione internazionale per persone con disabilità, cerco di rimanere al lavoro per proteggere l’essere umano, fatto a pezzi davanti ai nostri occhi. Mi chiedo ogni giorno come possa una persona a cui è stato tolto il diritto al riparo, all’acqua e alla dignità, continuare a difendere i diritti degli altri. E ogni volta mi rispondo: vengo da Gaza, da un luogo dove la tenacia non muore, anche se diventa una maledizione. Una maledizione perché stiamo cercando di salvare il salvabile dei nostri diritti, vivendo in una realtà che non rispecchia alcun documento o convenzione sui diritti.

SIAMO STATI DELUSI DAL MONDO INTERO, non per un motivo complicato, ma perché sceglie di non vedere. Non stiamo morendo in segreto. Tutto è documentato, proprio davanti agli occhi di tutti. Convenzioni, leggi, diritti umani? Foglie al vento o combustibile per il fuoco. Il mondo ha dichiarato la morte della propria coscienza in un freddo silenzio. Ormai ridiamo con nera ironia quando il mondo parla di «dignità umana» e «sicurezza dei civili».

Netanyahu ordina all’esercito israeliano di conquistare tutta Gaza

I media israeliani riportano che Benjamin Netanyahu ha ordinato all’esercito di espandere la sua offensiva a Gaza e di rioccupare l’intera Striscia

Esercito israeliano di stanza al confine di Gaza, 10 marzo 2024. (Foto: © Abir Sultan/EFE via ZUMA Press/APA Images)


















di Qassam Muaddi   Mondoweiss, 4 Agosto 2025   

Il gabinetto di guerra israeliano si è riunito lunedì per decidere la prossima fase della guerra di Israele contro Gaza. Secondo quanto riferito, l’incontro doveva scegliere tra la fine della guerra a favore dei colloqui per il cessate il fuoco o l’espansione per rioccupare l’intera Striscia. Secondo le prime notizie non confermate, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha informato “giornalisti amici” di aver ordinato all’esercito israeliano di “conquistare Gaza” di fronte all’opposizione del capo di stato maggiore dell’esercito, Eyal Zamir. Secondo quanto riferito, l’ufficio di Netanyahu ha detto a N12: “La decisione è stata presa: Israele conquisterà la Striscia di Gaza”.

Il cessate il fuoco è stato sostenuto da ufficiali dell’esercito israeliano, mentre la decisione di rioccupare Gaza è favorita dai ministri della linea dura come il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che sono alleati chiave nella coalizione di estrema destra del primo ministro Netanyahu, e sono accreditati di aver svolto un ruolo influente nel sostenere l’assalto israeliano in corso.

Secondo la radio dell’esercito israeliano lunedì, Zamir aveva chiesto “chiarezza” al governo israeliano riguardo al futuro dello sforzo bellico, secondo quanto riferito, scoraggiando la rioccupazione di Gaza, credendo che avrebbe “prosciugato” l’esercito israeliano.

Mentre l’operazione “Carri di Gedeone” si conclude, i negoziati per il cessate il fuoco sono incentrati sulla carestia

Il messaggio di Zamir al gabinetto è arrivato nel bel mezzo dell’annuncio di Israele, la scorsa settimana, della fine della sua ultima offensiva militare a Gaza, soprannominata Operazione “Carri di Gedeone”, mentre uno dei membri del gabinetto israeliano, Zeev Elkin, ha minacciato di “annettere parti di Gaza” come “strumento di pressione” contro Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco.

Il messaggio è stato emesso anche in seguito alla visita dell’inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente Steve Witkoff in Israele e Gaza la scorsa settimana. Venerdì, Witkoff ha incontrato le famiglie dei prigionieri israeliani a Tel Aviv, dove ha riaffermato gli sforzi degli Stati Uniti per raggiungere un accordo di cessate il fuoco, senza fornire alcun dettaglio sul progresso dei colloqui. Witkoff ha detto che Hamas stava considerando di rinunciare alle sue armi, mentre il gruppo di resistenza ha risposto in una dichiarazione dicendo che avrebbe deposto le armi solo dopo la creazione di uno Stato Palestinese indipendente.

Prima di andare a Tel Aviv, Witkoff ha trascorso cinque ore in uno dei centri della controversa Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta dagli Stati Uniti e da Israele. Dopo la sua visita a uno dei siti del GHF, ha detto che ci sono difficoltà e penuria, ma “nessuna fame” a Gaza. Lunedì, un gruppo di 17 organizzazioni internazionali per i diritti umani ha risposto alle affermazioni di Witkoff in una dichiarazione congiunta, affermando che l’inviato degli Stati Uniti aveva “totalmente ignorato i fatti sul terreno”, che “le prove non possono essere cancellate con delle semplici dichiarazioni” e che “la fame a Gaza è reale e ha già causato la morte di 159 persone, tra cui 90 bambini, che è un numero documentato che riflette la dimensione di un crimine ingiustificabile e innegabile”.

La scorsa settimana, Israele ha presentato le sue obiezioni alla risposta di Hamas all’ultima proposta di cessate il fuoco di Witkoff. Le obiezioni di Israele includevano gli emendamenti di Hamas alle mappe del ritiro militare israeliano, in particolare insistendo sul mantenimento della presenza militare israeliana nel Corridoio Philadelphi – l’area militarizzata a cavallo del confine israelo-palestinese – e sul principio dello scambio dei corpi dei prigionieri israeliani uccisi con prigionieri palestinesi vivi. Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno presentato una nuova versione della proposta di cessate il fuoco.

Durante la visita di Witkoff, l’ala armata di Hamas ha diffuso il video di un prigioniero israeliano emaciato che soffre di fame e grave malnutrizione, che ha detto nel video di non aver mangiato per diversi giorni. Il video ha scatenato le proteste delle famiglie dei prigionieri israeliani e ha spinto Netanyahu a commentare il video in una dichiarazione televisiva, dicendo che Hamas stava “cercando di spezzarci”.

Domenica, il gabinetto di Netanyahu ha dichiarato di aver chiesto al Comitato Internazionale della Croce Rossa di garantire l’ingresso di cibo ai prigionieri israeliani. Hamas ha risposto dicendo che avrebbe “cooperato positivamente” con la Croce Rossa a condizione che fosse istituito un corridoio umanitario permanente per Gaza e che gli aerei militari israeliani cessassero di sorvolare la Striscia durante l’ingresso degli aiuti. Lo stesso giorno, Hamas ha dichiarato che sarebbe stata “pronta a impegnarsi di nuovo nei colloqui quando la fame finirà”, sottintendendo che la fine della fame è la nuova condizione del movimento di resistenza per il ritorno ai colloqui.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina


21 luglio 2025

Dichiarazione Congiunta del Gruppo dell’Aia sulla conclusione della Conferenza di Emergenza sulla Palestina alla Conferenza di Bogotá

 19 luglio 2025.  

Si è tenuta a Bogotá, Repubblica di Colombia, dal 15 al 16 luglio 2025, la Conferenza di Emergenza sulla Palestina convocata dal Gruppo dell’Aia.

Riportiamo di seguito la Dichiarazione Congiunta emersa dalla Conferenza

Dichiarazione congiunta al termine della
conferenza di emergenza sulla Palestina

Convocata dal Gruppo dell'Aia

Noi, rappresentanti di Bolivia, Cuba, Colombia, Indonesia, Iraq, Libia, Malesia, Namibia, Nicaragua, Oman, Saint Vincent e Grenadine, Sudafrica e tutti gli altri Stati* che sottoscrivono quanto segue entro il 20 settembre 2025,


Guidati dagli scopi e dai principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto 
internazionale compreso il diritto inalienabile dei popoli all'autodeterminazione e il principio dell'inammissibilità dell'acquisizione di territori con la forza;

Riuniti con urgenza a Bogotà, Colombia, dal 15 al 16 luglio 2025 con l'obiettivo di rafforzare la nostra determinazione collettiva creando una voce internazionale unitaria e adempiendo ai nostri obblighi internazionali in relazione alla situazione nei Territori Palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est;

Piangendo ogni vita persa nel corso delle azioni genocidarie di Israele nei Territori Palestinesi occupati; 

Deplorando l'ostruzione degli aiuti umanitari e la violenza deliberata e indiscriminata e le punizioni collettive inflitte alla popolazione affamata della Striscia di Gaza; 

Deplorando i ripetuti sfollamenti forzati di massa della popolazione civile palestinese e l'ostacolo al suo ritorno; 

Riconoscendo il rischio che le azioni di Israele comportano per le prospettive di pace e sicurezza nella regione, nonché per l'integrità del diritto internazionale in generale; 

Rifiutando di rimanere osservatori passivi della devastazione nei Territori Palestinesi occupati e della negazione del diritto inalienabile del popolo palestinese all'autodeterminazione; 

Riaffermando il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 19 luglio 2024 sulle conseguenze derivanti dalle politiche e dalle pratiche illegali di Israele, che, per loro stessa natura, sono motivo di preoccupazione per tutti gli Stati; 

Ricordando tutte le risoluzioni pertinenti delle Nazioni Unite, compresa la risoluzione A/RES/ES-10/24 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e gli obblighi assunti dagli Stati membri di adottare misure in linea con il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 19 luglio 2024, il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto umanitario;

Con così tante vite in gioco, cosa ha effettivamente ottenuto l’UE dal suo accordo con Israele sugli aiuti a Gaza?

La scorsa settimana, l’UE e Israele hanno raggiunto un accordo: più aiuti umanitari a Gaza, in cambio dell’annullamento di qualsiasi declassamento punitivo del commercio UE-Israele. Ma gli stati europei avrebbero dovuto sapere che il governo di Netanyahu è pieno di bugiardi, ladri e demagoghi che non danno alcun valore alla loro parola.


Il capo della politica estera dell’UE, Kaja Kallas, a sinistra, stringe la mano al ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar a Bruxelles a febbraio. Virginia Mayo/AP

di Amir Tibon,  Haaretz, 16 luglio 2025.    

La scorsa settimana, il capo della politica estera dell’Unione Europea, Kaja Kallas, ha annunciato un accordo con il governo israeliano per aumentare la quantità di aiuti umanitari destinati a Gaza. Israele ha promesso di consentire l’ingresso di altri camion carichi di cibo e medicine nell’enclave devastata dalla guerra; in cambio, l’UE ha deciso di eludere, per il momento, qualsiasi piano di degradazione delle sue relazioni diplomatiche ed economiche con Israele.

Il compromesso è nato dalla minaccia dell’UE di sospendere l’Accordo di Associazione con Israele, che guida la stretta cooperazione dell’Europa con il paese. Citando una clausola dell’Accordo che richiede il “rispetto dei diritti umani”, alcuni funzionari dell’UE hanno chiesto di riesaminare l’Accordo, sulla base della condotta di Israele a Gaza – in particolare l’accusa che Israele stia deliberatamente affamando la popolazione di Gaza.

Inoltre, molti governi europei condividono la preoccupazione che il fondo israelo-americano che distribuisce aiuti nel sud di Gaza, la cosiddetta “Gaza Humanitarian Foundation”, faccia parte di un piano per concentrare un milione di abitanti di Gaza in una piccola area e poi spingerli in altri paesi.

18 giugno 2025

GAZA. DISTRUTTA LA GRANDE MOSCHEA DI OMAR

 TOMASO MONTANARI

La Grande Moschea di Omar, a Gaza, non c’è più: distrutta come l’80 per cento dei luoghi di culto, islamici o cristiani, monumentali o no. Distrutta deliberatamente dall’esercito di Israele, in una campagna di cancellazione dell’identità storica palestinese che è parte integrante di quella strategia del genocidio che mira a fare sparire non solo le persone vive oggi, ma ogni traccia della loro esistenza. «Un popolo senza terra per una terra senza popolo»: questa famosa frase che, nel 1843, legittimava (da parte cristiana) l’idea coloniale e razzista di un insediamento statale ebraico in Terrasanta, sta diventando vera. Perché il popolo palestinese potrebbe presto sparire, insieme alla sua storia.

Le rovine della moschea scoperchiata ci svelano quanto densa e plurale sia, quella storia. Gli archi gotici di una struttura evidentemente ecclesiale ci ricordano che nell’XI secolo i crociati trasformarono la moschea in una chiesa cristiana, con una violenza che poco aveva a che fare con il Vangelo in cui dicevano di credere. Del resto, la moschea era dedicata al profeta Yahya, cioè a Giovanni Battista, venerato anche dall’Islam. Era stata costruita su una chiesa bizantina, che a sua volta inglobava materiale sottratto ad una sinagoga e sorgeva su un antico tempio filisteo che secondo una tradizione avrebbe accolto la tomba di Sansone.

10 giugno 2025

Gli ultimi giorni di Gaza




 Gli ultimi giorni di Gaza - di Chris Hedges-

10 giugno 2025


Questa è la fine. L'ultimo capitolo intriso di sangue del genocidio. Sarà finita presto. Settimane. Al massimo. Due milioni di persone si accampano tra le macerie o all'aria aperta. Decine vengono uccisi e feriti ogni giorno da proiettili, missili, droni, bombe e proiettili israeliani. Mancano acqua pulita, medicine e cibo. Hanno raggiunto un punto di collasso. Malato. Ferito. Terrorizzato. Umiliato. Abbandonato. Indigente. Morire di stenti. Senza speranza.

04 giugno 2025

Materiale d’armamento dall’Italia a Israele: lo squarcio aperto dall’inchiesta di Ravenna

di Duccio Facchini Altreconomia, 1° giugno 2025.  

Il sequestro di un carico di lavorati metallici al porto di Ravenna avvenuto all’inizio di febbraio di quest’anno svela un lato inquietante dell’export di materiale d’armamento italiano verso Tel Aviv sotto mentite spoglie. Ci sarebbero dei precedenti. Il Governo Meloni non può rimanere in silenzio. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu © Ronen Zvulun / UPI / Shutterstock / IPA

Il 4 febbraio di quest’anno l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha eseguito il “sequestro d’urgenza” al porto di Ravenna di un grosso carico di lavorati metallici destinati a Israele. Si tratta in particolare di 807 pezzi per un peso complessivo di oltre 13 tonnellate.

L’accusa della Procura romagnola -come ha scritto tra i primi Lorenzo Priviato su Il Resto del Carlino– è che quel carico predisposto alla spedizione da parte dell’azienda lecchese Valforge Srl e bollato come una “normale” partita di arnesi metallici fosse in realtà classificabile come materiale d’armamento. E che la stessa società, incaricata dalla Israel Military Industries (IMI Ltd), non fosse minimamente autorizzata a farlo.

I legali della Valforge hanno fatto riesame contro quel sequestro preventivo sostenendo, tra le altre cose, che il titolare della società fosse del tutto inconsapevole circa “l’identità della committente” e “la destinazione finale dei lavorati metallici una volta giunti in Israele”. Il 17 aprile, però, il Tribunale del riesame di Ravenna ha ritenuto infondato il ricorso, spiegandolo in un’agile ordinanza di sei pagine la cui lettura restituisce un quadro interessante e allo stesso tempo inquietante se si pensa ai fatti in corso nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, per mano dell’esercito di Benjamin Netanyahu. 

https://altreconomia.it/materiale-darmamento-dallitalia-a-israele-lo-squarcio-aperto-dallinchiesta-di-ravenna

Altri articoli:

I soldati israeliani aprono il fuoco vicino a un centro di aiuti a Gaza. I funzionari di Gaza dicono che 27 persone sono state uccise.

Greta Thunberg a bordo della flottiglia di Gaza: non fare nulla ‘non è un’opzione’


15 maggio 2025

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

 




 








“March to Gaza”, il mondo si mobilita con un solo obiettivo: aprire la frontiera, far entrare gli aiuti umanitari ed esigere la fine dell’assedio

Cresce di minuto in minuto il numero di utenti che si aggiunge al canale Telegram “March to Gaza – Call for international Civil Mobilization to Open a Humanitarian Corridor to Gaza”.
Una mobilitazione che è una risposta popolare all’inazione dei governi di fronte ai quotidiani massacri che i bombardamenti israeliani provocano nella Striscia. L’iniziativa ha preso forma in Francia e si sta diffondendo in diversi paesi.
“Una iniziativa apartitica e pacifica – si legge nel gruppo Telegram – attiva in questo momento in più di 20 Paesi e che vede insieme operatori sanitari, umanitari, addetti alla logistica, avvocati, attori esperti sul campo provenienti da ogni angolo del mondo. Con un unico obiettivo: aprire un corridoio umanitario a Gaza, attraverso negoziati diplomatici con l’Egitto, sotto la supervisione internazionale. L’iniziativa non intende violare i confini nazionali e minare la sovranità degli stati. È costruito interamente su un coordinamento pacifico e civile, e mira a facilitare l’arrivo di un’assistenza medica, aiuto umanitario e personale di emergenza alla popolazione civile nel pieno rispetto del diritto umanitario internazionale”.



Yalla Filastin! 🇵🇸
2 giorni di dibattiti, cultura e solidarietà con la Palestina che Resiste!

📍 10-11 maggio al Parco Piacentino in Arcella (PD)


Dopo un anno e mezzo di barbarie e brutalità, perpetrate in mondovisione dallo stato terrorista di "Israele", e a pochi giorni dal 77simo anniversario della Nakba, la "catastrofe" del 1948, in cui si ricorda la cacciata di centinaia di migliaia di Palestinesi dai propri villaggi e case sotto il fuoco sionista,
come collettivi e singoli solidali con la lotta di liberazione del popolo palestinese promuoviamo Yalla Falestine!
Due giorni dedicati alla Palestina e al suo popolo coraggioso con l'obiettivo di parlare della sua storia e cultura con momenti di discussione e approfondimento, ma anche per rafforzare il legame tra chi si è mobilitato in questo ultimo anno e mezzo a fianco del popolo palestinese, sostenendo l'unità della Resistenza senza distinguo, denunciando le responsabilità criminali del nostro e degli altri governi occidentali e rifiutando ogni piano di normalizzazione e collaborazionismo con l'occupazione come quello portato avanti dall'Autorità Nazionale Palestinese di Mahmud Abbas.

Per una Palestina unita dal fiume al mare!

🔻PROGRAMMA🔻
📅 SABATO 10
🕝 h14.30 - Apertura due giorni
🕓 h16 - Iniziativa/dibattito "Dalla Nakba al genocidio nel contesto di guerra odierno"
🕖 h19 - Stage di Darbouka/drum circle
🕗h20 - Buffet
🕘h21 - Serata musicale con Jam Session e djset Tecnodabka
📅 DOMENICA 11
🕥 h10.30 - Laboratorio per bambini/e "Yalla si gioca"
🕧 h12.30 - "La resistenza nel fumetto e nell'arte Palestinese" e presentazione di Palestzine
🕜 13.30 - Buffet
🕞 15.30 - Iniziativa/dibattito "Contro l'egemonia della cultura imperialista e la militarizzazione nei luoghi di istruzione"

Durante tutta l'iniziativa saranno presenti mostre fotografiche e contro-informative, banchetti ed esposizioni di materiali.




08 maggio 2025

I palestinesi si sono svegliati al rumore dei bulldozer. A mezzogiorno il loro villaggio era stato distrutto

 di Basel Adra,    +972 Magazine, 6 maggio 2025.  

In poche ore, le forze israeliane hanno demolito case, pozzi e persino grotte nella frazione cisgiordana di Khilet al-Dabe’, lasciando le famiglie senza un posto dove ripararsi.

Le forze israeliane demoliscono edifici a Khirbet Khilet al-Dabe, a Masafer Yatta, in Cisgiordania, 5 maggio 2025. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

Nelle prime ore di lunedì mattina 5 maggio, due enormi escavatori Hyundai e due bulldozer Caterpillar sono usciti dai cancelli dell’insediamento israeliano di Ma’on, nelle colline a Sud di Hebron, costruito illegalmente su terreni palestinesi appartenenti al villaggio di At-Tuwani. Per i residenti della zona, la vista di questi “mostri gialli”, come li chiamano, è un presagio: la giornata sarà piena di distruzione e le famiglie perderanno le case in cui si sono svegliate poche ore prima.

Circa 90 minuti dopo, la forza dell’operazione è diventata evidente. Jeep militari, soldati dell’esercito israeliano, unità di pattugliamento delle frontiere, funzionari dell’amministrazione civile e un gruppo di operai si sono radunati e poi si sono mossi tutti insieme verso Khirbet Khilet al-Dabe’, un piccolo ma resistente villaggio incastonato tra le terre alte di Shafa Yatta e le colline basse di Masafer Yatta. Mi sono precipitato lì con altri attivisti locali per documentare ciò che temevamo stesse per accadere.

Siamo stati fermati da un gruppo di soldati mascherati a circa 80 metri dalle case del villaggio. “Non vi è permesso avanzare”, ha abbaiato un soldato, lasciando cadere a terra un vecchio secchio arrugginito e dichiarando: “Questo è il confine di una zona militare chiusa: chiunque lo oltrepassi sarà arrestato”.

Abbiamo chiesto se c’era un ordine militare ufficiale che stabiliva l’area come vietata. Un soldato ha risposto: “Arriverà tra pochi minuti”. Ma la demolizione si è protratta per ore e non è mai arrivato un ordine del genere. Non si trattava dell’applicazione di una sentenza legale, ma piuttosto di un esercizio di puro potere militare. In realtà, i soldati non hanno nemmeno fatto finta di rispettare le leggi discriminatorie di Israele. Ci hanno semplicemente minacciato con armi e arresti.

Mentre i soldati ci trattenevano, un escavatore ha distrutto due pozzi d’acqua, mentre altri hanno fatto irruzione nella comunità stessa. Le famiglie sono state portate via con la forza dalle loro case. Tra loro c’erano Amna Dababseh, 80 anni, e suo marito Ali, 87 anni.

Ali Dababseh in mezzo ai soldati mentre le forze israeliane demoliscono edifici nel villaggio cisgiordano di Khilet al-Dabe’, 5 maggio 2025. (Wisam Hashlamoun/Flash90)

“Mia figlia ci ha portato la colazione e stavamo per mangiare, quando ci ha detto ce l’esercito era entrato nel villaggio”, ha raccontato Amna. “All’improvviso, i soldati erano davanti alla nostra porta. Uno ha indicato la nostra casa e ha detto: ‘Uscite. Stiamo per demolire questa casa’. Gli ho detto: ‘Mio marito ha avuto un ictus e riesce a malapena a camminare. Io ho il diabete. Dove volete che andiamo?” Mi ha risposto: ‘in montagna’. Muovetevi!”.

16 aprile 2025

La settimana santa

Repressione sistematica: Hamas critica le restrizioni imposte da Israele ai cristiani della Cisgiordania

 Nonostante l’osservanza internazionale della Domenica delle Palme, le severe restrizioni imposte da Israele hanno impedito a migliaia di cristiani palestinesi di celebrare il loro culto nella Gerusalemme occupata.

Ai cristiani della Cisgiordania viene negato l’ingresso nella Gerusalemme occupata durante la Domenica delle Palme. (Foto: via WAFA)

Le forze israeliane hanno impedito ai cristiani palestinesi della Cisgiordania di entrare nella Gerusalemme occupata per partecipare alle celebrazioni della Domenica delle Palme.

Secondo l’agenzia di stampa ufficiale palestinese WAFA, sia le confessioni cristiane orientali che quelle occidentali hanno celebrato la Domenica delle Palme, che commemora l’ingresso di Gesù Cristo a Gerusalemme, una settimana prima della Pasqua, con preghiere e processioni.

Tuttavia, le autorità israeliane hanno imposto maggiori restrizioni militari intorno a Gerusalemme e alla Città Vecchia, negando a molti l’accesso.  I palestinesi, sia musulmani che cristiani, devono ottenere permessi speciali per attraversare i posti di blocco militari ed entrare nei luoghi santi della città, tra cui la Chiesa del Santo Sepolcro e la Moschea di Al-Aqsa.

Secondo Al-Jazeera, ottenere questi permessi è sempre più difficile. I richiedenti devono superare un “controllo di sicurezza” israeliano, ricevere una carta d’identità digitale e scaricare un’applicazione mobile per richiedere l’ingresso; le domande vengono spesso respinte.

Padre Ibrahim Faltas, vice Superiore Generale della Custodia di Terra Santa, ha dichiarato che quest’anno sono stati concessi solo 6.000 permessi per i cristiani palestinesi della Cisgiordania, nonostante la popolazione cristiana dell’area sia stimata in 50.000 persone.

Repressione sistematica: Hamas critica le restrizioni imposte da Israele ai cristiani della Cisgiordania


La storia di due attacchi a Masafer Yatta: cosa succede quando non ci sono telecamere in azione

L’attacco a Jinba rivela le profonde disuguaglianze nel modo in cui i palestinesi sono trattati dal mondo. La nostra sofferenza viene minimizzata e le nostre storie vengono cancellate a meno che non ci sia di mezzo un Oscar.

Nel ciclo continuo di violenze che avvengono sotto l’occupazione, anche il piccolo villaggio di Jinba, nella mia comunità di Masafer Yatta, ha sopportato il peso delle aggressioni di militari e di coloni israeliani. Mentre l’attenzione globale si sposta spesso su incidenti di alto profilo, come gli attacchi contro persone note, la tragedia di Jinba è passata largamente inosservata da gran parte della comunità internazionale.

Jinba è un villaggio remoto situato nel sud della Cisgiordania. Come molte comunità palestinesi che sopravvivono alla violenza degli occupanti, i residenti di Jinba hanno vissuto anni di espropriazione, perpetrata sia dai coloni che dall’esercito israeliano. Il villaggio, come molti altri a Masafer Yatta, nelle Colline a Sud di Hebron, è situato in un’area in cui gli insediamenti illegali israeliani si stanno espandendo, e questo sviluppo è spesso accompagnato da attacchi brutali contro i civili palestinesi.

La storia di due attacchi a Masafer Yatta: cosa succede quando non ci sono telecamere in azione

Gaza e gli aiuti umanitari: tra mercato nero, arma di guerra e diritti negati

14 aprile 2025

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

 

                                                

08 aprile 2025

Strage di soccorritori a Gaza, ecco il video che inchioda Israele

 


STRISCIA DI SANGUE Presi, giustiziati e gettati in una fossa comune, poi dall’esercito solo bugie. La verità riemerge dal telefono di una delle 15 vittime

Eliana Riva

Le menzogne dell’esercito israeliano sono state smascherate e questa volta nessuno potrà fingere di non vedere. O di non sentire. La voce di un uomo che per cinque minuti e mezzo si prepara ad essere ucciso, prega, chiede perdono e ricorda a se stesso che morirà perché ha scelto di aiutare. È quella di un paramedico, uno dei 15 soccorritori che sono stati giustiziati dai militari di Tel Aviv a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

IL SUO CORPO, insieme a quello dei suoi colleghi, è stato recuperato alla fine di marzo, dopo una settimana di angoscia e preoccupazione durante la quale non si avevano notizie della squadra inviata a soccorrere le vittime degli attacchi israeliani. Erano partiti il 23 marzo ma giunti nel quartiere di Tal al-Sultan avevano avuto solo il tempo di comunicare alla sala operativa di essere circondati e attaccati dai militari. Poi nessuna notizia. Per otto giorni Israele si è rifiutato di dare informazioni sulla sorte del gruppo, anche solo di comunicare se fossero vivi o morti. Quando finalmente ha consentito l’ingresso, i soccorsi hanno dovuto recuperare i resti dei colleghi da una fossa comune. Alcuni sono stati ritrovati legati e con un colpo di pistola alla testa.

TEL AVIV NON HA NEGATO di aver aperto il fuoco, ma ha dichiarato di averlo fatto contro «veicoli sospetti» che avanzavano «senza fari o segnali di emergenza». Sono state queste le parole di Nadav Shoshani, un portavoce dell’esercito dello stato ebraico.

Eppure, dal cellulare di una delle vittime è stato rinvenuto un video (diffuso ieri dal New York Times) che riprende il convoglio proprio nel momento in cui arriva sul posto e che smonta completamente la versione israeliana. Un mezzo dei vigili del fuoco e diverse ambulanze percorrono la via di Tal al-Sultan alle prime ore dell’alba, hanno tutti i lampeggianti e i fari accesi, le scritte di segnalazione sono perfettamente visibili. Quando sul lato sinistro della carreggiata si vede la carcassa di un’altra ambulanza, la carovana si ferma per controllare. Prima di scendere, il paramedico con il cellulare si accorge che tutt’intorno ci sono i soldati. Un membro della Mezzaluna palestinese si avvicina al mezzo danneggiato, indossa la divisa rossa catarifrangente con il simbolo del soccorso. Fa solo pochi passi prima che inizino gli spari. Lunghe raffiche, mentre il paramedico continua a registrare. Anche se ora si vede solo buio, si sente la sua voce che recita le preghiere e chiede perdono: «Scusami mamma, questa è la strada che ho scelto per salvare le persone». Urla, ordini gridati in ebraico, mentre le raffiche si diradano, diventano più brevi ma più vicine.

DALLE IMMAGINI SATELLITARI recuperate dai media internazionali poco dopo la strage, si scorgono i veicoli sepolti dalla sabbia, tre bulldozer militari e un escavatore e due barriere di terra ai lati di quella che si sarebbe rivelata essere una fossa comune. Israele ha affermato di aver ucciso nove uomini armati di Hamas e del Jihad Islami, ma nella fossa non vi erano corpi di combattenti, solo quelli dei soccorritori. Un membro della squadra è ancora disperso e Tel Aviv si rifiuta di far sapere se sia stato arrestato o ammazzato. La protezione civile palestinese ha chiesto una commissione di inchiesta internazionale per indagare sul massacro. Anche la Mezzaluna rossa, aggiungendo che «L’impunità in un singolo luogo genera impunità in ogni luogo del mondo».

Tel Aviv ha dichiarato che starebbe indagando sull’accaduto. Ma solo in casi rari il Meccanismo di accertamento e valutazione dei fatti dello Stato maggiore (Ffam) ha consentito la prosecuzione delle inchieste sui crimini israeliani e ancora più raro è stato l’avvio di un procedimento penale.

La portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Tammy Bruce, ha già sposato la versione dell’esercito: «per troppo tempo Hamas ha abusato delle infrastrutture civili per proteggersi». Domani il premier israeliano Netanyahu volerà negli Stati Uniti per il suo secondo incontro con il presidente Donald Trump, durante il quale discuteranno di Gaza e della guerra.

INTANTO, A GAZA continuano i massacri. Almeno 30 persone sono state uccise dall’alba al tramonto. Le Nazioni Unite hanno informato che 142mila persone sono state sfollate solo tra il 18 e il 23 marzo. In occasione della Giornata del bambino palestinese, il 5 aprile, l’Ufficio centrale di statistica ha riportato che 17.954 bambini sono stati uccisi dal 7 ottobre 2023, 274 sono nati e morti in guerra. 876 avevano meno di un anno. Il direttore degli ospedali da campo di Gaza, Marwan al-Hams, ha dichiarato ieri che il tasso di mortalità tra i pazienti affetti da insufficienza renale è salito al 42% dei malati totali, a causa della situazione terribile della sanità e dell’embargo di medicinali impostto da Tel Aviv.
Eliana Riva

Storica, esperta di Paesi Islamici, documentarista



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