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22 dicembre 2024

NATALE PALESTINESE

                                

A Gaza è genocidio. Due rapporti inchiodano Israele, e i suoi complici  Forum Palestina


In un rapporto di 179 pagine, Human Right Watch afferma di avere scoperto che le autorità israeliane hanno intenzionalmente privato i palestinesi di Gaza dell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici necessari per la sopravvivenza umana di base.

«Le autorità e le forze israeliane hanno interrotto e in seguito limitato l’acqua corrente a Gaza; hanno reso inutile la maggior parte delle infrastrutture idriche e igienico-sanitarie di Gaza tagliando l’elettricità e limitando il carburante; hanno deliberatamente distrutto e danneggiato le infrastrutture idriche e igienico-sanitarie e i materiali per la riparazione dell’acqua; e hanno bloccato l’ingresso di forniture idriche essenziali». E poi ancora: «L’acqua è essenziale per la vita umana, eppure per oltre un anno il governo israeliano ha deliberatamente negato ai palestinesi di Gaza il minimo indispensabile di cui hanno bisogno per sopravvivere», ha affermato Tirana Hassan, direttore esecutivo di Human Rights Watch. «Non si tratta solo di negligenza; è una politica calcolata di privazione che ha portato alla morte di migliaia di persone per disidratazione e malattie, che non è altro che un crimine contro l’umanità di sterminio e un atto di genocidio».

https://contropiano.org/news/internazionale-news/2024/12/20/a-gaza-e-genocidio-due-rapporti-inchiodano-israele-e-i-suoi-complici-0178681

“Niente civili. Sono tutti terroristi”. Soldati dell’IDF denunciano le uccisioni arbitrarie e l’illegalità dilagante nel corridoio Netzarim di Gaza  19 Dicembre 2024

di Yaniv Kubovich,  Haaretz (quotidiano israeliano)

“Su 200 corpi, solo 10 sono stati confermati come membri di Hamas”. I soldati dell’IDF che hanno prestato servizio a Gaza raccontano ad Haaretz che chiunque attraversi una linea immaginaria nel contestato corridoio Neztarim viene colpito a morte, e ogni vittima palestinese viene considerata un terrorista, anche se era solo un bambino.

https://www.assopacepalestina.org/2024/12/19/niente-civili-sono-tutti-terroristi-soldati-dellidf-denunciano-le-uccisioni-arbitrarie-e-lillegalita-dilagante-nel-corridoio-netzarim-di-gaza/

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21 dicembre 2024

FROM GAZA WITH LOVE

                       

Il Conservatorio Tito Schipa di Lecce è orgoglioso di questo evento straordinario che unisce musica, cultura e vicinanza umana tra i popoli. Il programma dell’ evento prevede un’esibizione musicale degli studenti di Gaza, che, attraverso brani vocali e l'uso di strumenti tradizionali, raccontano le loro storie, i loro sogni e il loro desiderio di un futuro migliore. In risposta, l’Ensemble Musiche Tradizionali del Conservatorio Tito Schipa offrirà una performance in diretta streaming dedicata agli studenti e agli insegnanti di Gaza. L’incontro è un’occasione unica per immergersi nelle sonorità del Mediterraneo e ascoltare le testimonianze dirette di chi, nonostante le avversità, continua a lottare per un futuro di pace e bellezza.

https://www.youtube.com/watch?v=5JB228lAviM

19 dicembre 2024

Progetto Emergenza Gaza: Ramadam e i libri

Ecco le foto della consegna dei primi sessanta libri 
👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏


















18 dicembre 2024

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Israele approva il piano per colonizzare il Golan mentre bombarda la Siria

di Eliana Riva | 16 Dic 2024 - AGGIORNAMENTI

Israele approva il piano per colonizzare il Golan mentre bombarda la Siria 

Ore 15.00 – L’ex presidente siriano Bashar Al-Assad ha rilasciato un comunicato nel quale nega di aver pianificato di lasciare la Siria e anzi dichiara di essere rimasto a Damasco, accanto all’esercito siriano, fino alle prime ore dell’8 dicembre, quando si è sposata poi a Latakia, all’interno della base militare russa di Hmeimim. Dopo che quest’ultima, durante la serata, è stata sottoposta a un attacco di droni, Mosca ha organizzato un’evacuazione immediata. Assad ha dichiarato che a quel punto il Paese era perduto e che rimanere non avrebbe avuto alcun senso: “Quando lo Stato cade nelle mani del terrorismo e si perde la capacità di dare un contributo significativo, qualsiasi posizione diventa priva di scopo, rendendo la sua occupazione priva di senso. Ciò non diminuisce in alcun modo il mio profondo senso di appartenenza alla Siria e al suo popolo, un legame che rimane incrollabile indipendentemente da qualsiasi posizione o circostanza. È un’appartenenza piena di speranza che la Siria tornerà ad essere libera e indipendente”.

articolo completo  https://pagineesteri.it/2024/12/16/medioriente/israele-approva-il-piano-per-colonizzare-il-golan-mentre-bombarda-la-siria/

Una imponente banca dati di prove, compilata da uno storico, documenta i crimini di guerra israeliani a Gaza

Un rapporto rivela che i soldati israeliani commettono sistematicamente violenze sui palestinesi a Hebron

La proposta di legge del Partito Repubblicano USA vieterebbe l’uso federale del termine ‘Cisgiordania’

Dentro la “Grande Israele”: miti e verità dietro la fantasia sionista di lunga data

Gli eventi di Jenin visti da analisti e scrittori palestinesi. “Imparare le lezioni dal genocidio di Gaza”

Gaza Inverno 2024


16 dicembre 2024

29 novembre: Giornata internazionale per i diritti del popolo palestinese

 

Ramadan al lavoro ..............................

 


                             
     

                            


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05 dicembre 2024

A Gaza è genocidio - Rapporto di Amnesty International

Israele sta commettendo genocidio contro la popolazione palestinese a Gaza 



Le ricerche effettuate da Amnesty International hanno rinvenuto sufficienti elementi per portarla alla conclusione che Israele ha commesso e sta continuando a commettere genocidio nei confronti della popolazione palestinese nella Striscia di Gaza occupata.

Nel rapporto intitolato “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza”, Amnesty International documenta come, durante l’offensiva militare lanciata dopo gli attacchi mortali del 7 ottobre guidati nel sud di Israele da Hamas, Israele abbia scatenato inferno e distruzione contro la popolazione palestinese di Gaza senza freni, in modo continuativo e nella totale impunità.

“Il rapporto di Amnesty International mostra che Israele ha compiuto atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio, con l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese di Gaza. Questi atti comprendono uccisioni, gravi danni fisici e mentali e la deliberata inflizione di condizioni di vita calcolate per causare la loro distruzione fisica. Mese dopo mese, Israele ha trattato la popolazione palestinese di Gaza come un gruppo subumano non meritevole di diritti umani e dignità, dimostrando il suo intento di distruggerli fisicamente”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

“Le nostre conclusioni devono servire a svegliare la comunità internazionale. Questo è un genocidio. Deve cessare ora”, ha aggiunto Callamard.

“Gli stati che attualmente continuano a trasferire armi a Israele devono sapere che stanno violando il loro obbligo di prevenire il genocidio e rischiano di diventarne complici. Tutti gli stati che hanno influenza su Israele, soprattutto i principali fornitori di armi come Usa e Germania così come ulteriori stati membri dell’Unione europea, il Regno Unito e altri ancora, devono agire adesso per porre immediatamente fine alle atrocità israeliane contro la popolazione palestinese di Gaza”, ha proseguito Callamard.

Negli ultimi due mesi, la crisi è diventata particolarmente acuta nel governatorato del nord della Striscia di Gaza, dove una popolazione sotto assedio è alle prese con fame, sfollamento e annichilimento tra incessanti bombardamenti e soffocanti limitazioni agli aiuti umanitari necessari per salvare vite umane.

Leggi la sintesi in italiano


Il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza Video



28 novembre 2024

Difendi la Corte Penale Internazionale Contro il dominio dell’illegalità, dell’arbitrio e dell’impunità Noi siamo dalla parte del Diritto e dei Diritti. E tu?

 Documento dell'Università di Padova - Centro di Ateneo per i Diritti Umani Antonio Papisca" redatto a cura del Prof. Marco Mascia.

La Corte Penale Internazionale (CPI) è una pietra miliare della costruzione di un mondo più giusto, pacifico e democratico. Uno strumento di giustizia internazionale che trova il suo fondamento giuridico nella Carta delle Nazioni Unite e nelle Convenzioni internazionali sui diritti umani.

La sua istituzione rappresenta il più straordinario e rivoluzionario avanzamento nella civiltà del diritto internazionale. Il suo Statuto –detto anche “Statuto di Roma”- è stato adottato a Roma, il 17 luglio 1998, al termine della "Conferenza Diplomatica sulla Istituzione di una Corte Penale Internazionale" (15 giugno – 17 luglio 1998) ed entrato in vigore il 1 luglio 2002.


Documento completo   Difendi la Corte Penale Internazionale


19 novembre 2024

Israele. Coloni oltre la democrazia - «Non ci sono esseri umani non coinvolti, a Gaza – dice – nemmeno i bambini: avete un mese per portarveli via tutti, passato quel mese li ammazziamo e restiamo noi a vivere sulla nostra terra da soli, finalmente».

 

Foto di un insediamento israeliano

«Non ci sono esseri umani non coinvolti, a Gaza – dice – nemmeno i bambini. E se mi chiedi la mia, bene, io direi a tutta la comunità internazionale: avete un mese per portarveli via tutti, passato quel mese li ammazziamo e restiamo noi a vivere sulla nostra terra da soli, finalmente».

FRANCESCA MANNOCCHI "La Stampa" 18 novembre 2024


Yehuda Shimon è un avvocato ma sostiene di non credere ad altra legge se non quella di Dio. Non crede alla legge degli uomini nel suo paese, Israele, e non crede al diritto internazionale. Oltre a non credere alla legge, Yehuda Shimon non crede nemmeno alla democrazia. Pensa che se ci fosse una vera democrazia in Israele, la gente lascerebbe fare a Netanyahu ciò di cui c’è bisogno, senza le proteste di piazza e senza gli impedimenti che la legge mette ai coloni come lui. Per queste ragioni Yehuda Shimon invece di votare, prega: «Il Messia non ha bisogno di cento persone in un parlamento, la democrazia è uno scherzo».

Il Messia non ha bisogno della democrazia ma i coloni hanno bisogno di sostegno politico e questo governo, come mai nessuno prima, ha aperto la strada all’annessione dei territori palestinesi da parte dei coloni: «non crediamo alla politica, ma la politica ci serve», dice Shimon, che chiama il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir per nome, che mostra le fotografie della sua famiglia in compagnia del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e che sorride soddisfatto di fronte a un messaggio che lo informa che la ministra degli Insediamenti Orit Strook, anche lei esponente di Sionismo Religioso, entrerà a far parte del gabinetto di guerra.

Strook, che nel luglio scorso aveva definito gli ultimi mesi un «miracolo» per la veloce espansione degli insediamenti, «un momento miracoloso come quando sei fermo a un semaforo e senti beep, beep. E poi c’è il verde e metti il turbo». Dove il semaforo è la legge e il turbo è l’allargamento senza freni degli insediamenti illegali. Anche per l’avvocato Yehuda Shimon il semaforo rosso è la legge e un pezzo della luce verde è l’elezione di Donal Trump. «Prego Dio che lo benedica, che Trump ci sostenga e continui a favorire la nostra idea di Israele, come ha già fatto». Le recenti nomine lasciano pensare che sia così. Soprattutto quella dell’ex governatore dell’Arkansas, Mike Huckabee, nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, che ha detto: «non esiste la Cisgiordania. Esistono Giudea e Samaria. Non esistono gli insediamenti. Sono comunità. Sono quartieri. Sono città. Non esiste
l’occupazione».
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12 novembre 2024

Il 45% degli ebrei israeliani preferisce la guerra alla pace. E i palestinesi?

 

La Cupola della Roccia di Gerusalemme, vista dal lato palestinese del Muro. Ciò che l’opinione pubblica israeliana vede come il “massacro del 7 ottobre” appare molto diverso agli occhi dei palestinesi. Alex Levac

di Dani Bar On,

Haaretz, 9 novembre 2024.   

Le indagini condotte in Israele, Cisgiordania e Gaza offrono spiragli di speranza, tra molti motivi di disperazione.

Ci sono alcune frasi in Israele che, quando vengono pronunciate, creano un senso di jamais vu, l’opposto del déjà vu, ossia un’esperienza in cui qualcosa di familiare appare strano, come una cosa mai vista. Frasi come “negoziati di pace”, “due stati per due popoli” o “colloqui diretti” generano questa sensazione. Oggi le storie di alieni extraterrestri sembrano più probabili di queste frasi. Infatti, secondo un sondaggio su larga scala pubblicato lo scorso settembre, il 68% degli ebrei israeliani si oppone alla soluzione dei due stati, mentre solo il 21% è favorevole – il punto più basso da decenni. Inoltre, il 42% (!) di questi ebrei sostiene la creazione di un unico stato a supremazia ebraica tra il fiume Giordano e il mare.

Si potrebbe pensare che, con una guerra sanguinosa che si trascina, anche i palestinesi ne abbiano abbastanza degli israeliani e che, di conseguenza, anche il loro sostegno a due stati indipendenti sia diminuito, a scapito della visione di un unico stato palestinese – caro agli occhi di tanti manifestanti nei campus statunitensi.

Eppure sembra che sia vero il contrario. Secondo lo stesso sondaggio – condotto lo scorso luglio dai dottori Nimrod Rosler e Alon Yakter, entrambi dell’Università di Tel Aviv, dalla dottoressa Dahlia Scheindlin e dal ricercatore palestinese Khalil Shikaki del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PSR) – il 40% dei palestinesi che vivono in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est sostiene la soluzione dei due stati. Tra loro c’è stato addirittura un aumento significativo del sostegno a questa soluzione da prima della cosiddetta guerra del 7 ottobre, mentre tra gli ebrei israeliani c’è stato un calo.

I palestinesi preferiscono questo tipo di soluzione rispetto all’alternativa di uno stato dominato dai palestinesi tra il Giordano e il mare (33%) o di un unico stato democratico per ebrei e arabi (25%). Quando Shikaki ha posto la domanda a settembre, senza menzionare Israele – in altre parole, ha chiesto ai palestinesi dei Territori se sarebbero d’accordo ad accontentarsi di uno stato nei territori occupati da Israele in Cisgiordania e a Gaza – il sostegno è salito al 59%. Un altro sondaggio, condotto dall’Istituto per il progresso sociale ed economico (ISEP) con sede a Ramallah, ha rilevato un sostegno ancora più alto: 62% in Cisgiordania, 83% nella Striscia.

Gli israeliani che credono ancora nell’idea dei due stati rischiano di disperarsi se considerano le variabili dell’età e dell’appartenenza religiosa che influenzano le risposte dell’intero pubblico ebraico: Mentre tra gli ebrei israeliani di età superiore ai 55 anni il sostegno alla soluzione dei due stati è del 39%, tra quelli della fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni è dell’8%, mentre scende al 3% tra gli ebrei ortodossi e all’1% tra gli ultraortodossi.

Un unico raggio di luce è emerso quando la domanda è stata posta in modo più ampio. “Se la scelta è tra una guerra regionale che includa Israele, l’Autorità Palestinese, il Libano, lo Yemen e forse l’Iran, oppure un accordo di pace regionale che includa un accordo palestinese-israeliano basato sulla soluzione dei due stati e sulla normalizzazione arabo-israeliana”, il sondaggio ha chiesto, “qual è la sua preferenza?”.

Tra i palestinesi, il 65% ha risposto che preferirebbe la pace regionale alla guerra regionale – con una minima discrepanza, su questa domanda, tra i palestinesi della Cisgiordania e quelli di Gaza. Per quanto riguarda gli arabi di Israele, l’89% degli intervistati ha optato per l’alternativa della pace regionale. Tra gli ebrei in Israele, la pace ha vinto ai punti sulla guerra, ma non per ko: 55% contro 45%.

Un risultato simile è stato ottenuto in un sondaggio condotto all’inizio di ottobre dall’istituto di ricerca Agam Labs, diretto dallo psicologo politico Nimrod Nir dell’Università Ebraica. Alla richiesta di esprimere una preferenza per uno stato palestinese smilitarizzato, con un cosiddetto governo moderato e la supervisione di altri stati arabi, o per l’annessione della Striscia di Gaza, il 55% degli ebrei israeliani ha scelto uno stato palestinese smilitarizzato, contro il 45% che ha preferito l’annessione. Buona notizia per coloro che sono in grado di concentrarsi sul bicchiere pieno del 55%.

Allo stesso tempo, l’avversione alla soluzione dei due stati non significa che gli israeliani vogliano che la guerra continui ad ogni costo. Anche un mediocre esperto nel campo dei sondaggi sa che il modo in cui vengono formulate le domande può esercitare un’influenza cruciale sulle risposte. Nello stesso sondaggio, quando Nir ha chiesto agli intervistati di scegliere tra la continuazione della guerra nel sud pagando il prezzo della morte della maggior parte degli ostaggi, o la cessazione della guerra in cambio del loro rilascio, il 75% della popolazione araba di Israele e il 72% della popolazione ebraica si sono espressi a favore della fine della guerra. Non si tratta di un risultato eccezionale: I sondaggi dell’Agam hanno mostrato una maggioranza della popolazione ebraica favorevole alla fine della guerra almeno da marzo.

Torniamo alla questione dei due stati. Il politologo Colin Irwin dell’Università di Liverpool, che ha contribuito alla risoluzione di numerosi conflitti in tutto il mondo, è ben lontano dal pensare che la situazione sia ormai una causa persa. “I sondaggisti che non hanno lavorato durante i processi di pace non ne comprendono il funzionamento”, spiega Irwin. “Nei negoziati reali, una scala binaria non ha alcun valore”.

Si dovrebbe invece chiedere agli intervistati di dare un voto alla loro opinione su una scala, cioè di decidere se la soluzione proposta è “necessaria” a loro avviso, “desiderabile ma non necessaria”, “non particolarmente desiderabile ma accettabile”, “non desiderabile ma con cui si può convivere” – o “decisamente inaccettabile”. Lo scorso maggio, quando Irwin ha posto una domanda simile agli israeliani, sia ebrei che arabi, tramite la sondaggista israeliana Mina Tzemach, il 43% ha risposto che dal loro punto di vista la soluzione dei due stati è “decisamente inaccettabile”. Irwin ritiene che si tratti di un dato incoraggiante, visto che è stato ottenuto in tempo di guerra, e aggiunge trionfalmente che questa percentuale è inferiore a quella dei protestanti (52%) che nel 1998 si opponevano fermamente a un accordo di condivisione del potere in Irlanda del Nord, prima che venisse firmato l’accordo del Venerdì Santo.

articolo completo
Il 45% degli ebrei israeliani preferisce la guerra alla pace. E i palestinesi?

No, non c’è stato un “pogrom antisemita” ad Amesterdam. Ecco cosa è realmente accaduto.

Gli incessanti attacchi israeliani uccidono 36 persone a Gaza e 23 in Libano, mentre viene approvato l’ampliamento dell’invasione di terra

Quanto è vicino l’esercito israeliano a crollare?

ISRAELE. Nuove leggi permetteranno l’ergastolo per i bambini arabi

Il fronte del regime sionista e la famiglia Beren

Perché l’Unione Europea non divorzierà da Israele

04 novembre 2024

Sterminare, espellere, reinsediarsi: la partita finale di Israele nel nord di Gaza

 


di Idan Landau,  +972 Magazine, 1 novembre 2024. 

Il dibattito sui dettagli del ‘Piano dei Generali’ distrae dalla vera brutalità dell’ultima operazione di Israele, che ha abbandonato la facciata delle considerazioni umanitarie e sta gettando le basi per gli insediamenti.

Guardate le due foto seguenti, scattate entrambe il 21 ottobre 2024. A destra, vediamo una lunga fila di sfollati – o, più precisamente, di donne e bambini – nelle rovine del campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza. Gli uomini di età superiore ai 16 anni sono separati, sventolano una bandiera bianca e tengono in mano le loro carte d’identità. Stanno per uscire. 

Sterminare, espellere, reinsediarsi: la partita finale di Israele nel nord di Gaza

Per approfondire:

La task force israeliana che deporta attivisti stranieri dalla Cisgiordania

Come Netanyahu ha sfruttato i falsi ‘documenti di Hamas’ venuti alla luce mentre le proteste per gli ostaggi stavano aumentando

Una famiglia palestinese va a raccogliere olive. Finisce con un’esecuzione da parte dei soldati israeliani

La rivista scientifica medica ‘The Lancet’ pubblica due interventi sulla sanità a Gaza

Centro addestrativo per i piloti elicotteri da guerra in Liguria. A realizzarlo l’israeliana Elbit Systems

31 ottobre 2024

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

 A VICENZA E DINTORNI



    


Per il conflitto Israelo-palestinese viene ormai quasi univocamente invocata la “SOLUZIONE A DUE STATI” come fosse l’unica possibile (lo affermano l’ONU, Biden, il Papa, Mattarella, Meloni e tanti tanti altri…). “Questo MITO ben noto viene solitamente espresso in modo perentorio e afferma che esiste una soluzione del conflitto israelo-palestinese proprio dietro l’angolo. Tuttavia, la realtà dell’attuale colonizzazione di ingenti aree della Cisgiordania da parte di Israele rende improbabile qualsiasi soluzione a due stati…. 
È impensabile che la lotta per la liberazione nazionale, che ha ormai 150 anni, possa concludersi con un governo autonomo su appena il 20% della Palestina storica.” Questo scrive Ilan Pappé, ebreo israeliano, storico, che insegna in Inghilterra. Viene da pensare che tutti coloro che vedono in questa l’unica soluzione possibile, nella più benigna delle interpretazioni, non sappiano veramente di cosa stanno parlando.  Abbiamo deciso di dare spazio su questo tema alla voce di una persona giovane. Da Roma, dove vive, verrà a parlarcene ROBERTA SAIANI, laureata in Relazioni internazionali con master in politica internazionale, appassionata di analisi geopolitiche.
Vogliamo non perdere la speranza e la fiducia nell’uomo, dando la giusta considerazione a quanto auspicato da Edward W.Said (1935-2003, accademico palestinese nato a Gerusalemme e poi trasferito negli USA): “la scommessa sta nel trovare il modo pacifico di coesistere non come ebrei, musulmani e cristiani in guerra tra loro, ma come cittadini a pari diritti di una stessa terra”.

                                                       



 

   

IN ITALIA








23 ottobre 2024

Israele commette il più grande massacro finora avvenuto nel nord di Gaza

 

 Qassam Muaddi,  Mondoweiss, 21 ottobre 2024.   

L’assedio del nord di Gaza e del campo profughi di Jabalia entra nella sua terza settimana, mentre Israele ha tagliato gli aiuti a circa 200.000 persone. Sabato, le forze israeliane hanno bombardato Beit Lahia, uccidendo almeno 80 palestinesi, in uno dei più grandi massacri degli ultimi mesi.

Israele continua ad assediare il nord di Gaza e il campo profughi di Jabalia per il 16° giorno consecutivo, bloccando l’ingresso degli aiuti umanitari per circa 200.000 persone, tra continui attacchi aerei e bombardamenti di artiglieria.

Sabato 19 ottobre, le forze israeliane hanno bombardato un blocco residenziale a Beit Lahia, nel nord di Gaza, uccidendo almeno 80 palestinesi e ferendone oltre 100, segnando il più grande massacro nel nord di Gaza da mesi. Sempre sabato, le forze israeliane hanno bombardato il quartiere di Tel al-Zaatar, a Jabalia, uccidendo 33 palestinesi, tra cui 21 donne, e ferendone oltre 85.

Il direttore dell’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia, il dottor Husam Abu Safiyeh, ha dichiarato ad Al Jazeera che l’ospedale è pieno di personale medico esaurito e ai limitati, in una situazione di grave carenza di forniture mediche, cibo e carburante per i generatori di energia.

Il Dr. Abu Safiyeh ha anche detto che è la prima volta che l’ospedale affronta questo livello di condizioni disastrose dall’inizio della guerra, aggiungendo che sta lavorando alla massima capacità con risorse minime, dando priorità solo ai casi che possono essere salvati. Ha anche sottolineato che l’ospedale ha esaurito il sangue e che i medici sono andati in strada per chiedere alle persone di fare donazioni di sangue.

Fonti locali hanno riferito che le forze israeliane hanno arrestato decine di uomini e donne a Jabalia, detenendo un numero imprecisato di uomini prima di rilasciare gli altri.

Nel frattempo, le forze israeliane continuano a incontrare la resistenza dei gruppi palestinesi a Jabalia. Domenica, l’esercito israeliano ha ammesso l’uccisione del colonnello Ihsan Daqsa, il comandante della 401esima Brigata Corazzata dell’esercito israeliano in un combattimento a Jabalia.

L’ala armata di Hamas, le Brigate al-Qassam, hanno pubblicato un filmato dei propri combattenti che tendono un’imboscata ai soldati israeliani all’interno di un edificio, prendendo poi di mira i veicoli blindati che erano intervenuti in soccorso. Secondo al-Qassam, il filmato proveniva da Jabalia.

Lunedì 21, gli israeliani si sono riuniti vicino al kibbutz Be’iri, a tre chilometri dalla Striscia di Gaza, per chiedere di ‘reinsediare’ Gaza. Alla manifestazione hanno partecipato diversi membri della Knesset israeliana e ministri e leader dei coloni, tra cui il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, come riportato dai media israeliani. Il reinsediamento a Gaza è stato sostenuto fin dall’anno scorso dal movimento dei coloni israeliani con l’appoggio di politici israeliani, compresi membri del governo.

Le richieste di reinsediamento si allineano al “Piano dei Generali”, che Israele è stato accusato di aver attuato nel nord di Gaza. Israele nega ufficialmente che la sua offensiva nel nord sia un’attuazione di tale piano, anche se Netanyahu, due settimane prima dell’inizio dell’assedio al nord di Gaza, ha detto ai legislatori israeliani che lo stava prendendo in considerazione.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Un piano per liquidare il nord di Gaza sta prendendo piede

Netanyahu ha detto che Israele non si reinsedierà a Gaza. Ma i suoi stessi ministri raccontano una storia diversa

17 ottobre 2024

Video. I soldati israeliani mettono sui social media i video dei loro stessi crimini


L’unità Investigativa di Al Jazeera ha identificato molti dei soldati israeliani che hanno pubblicato prove dei loro stessi crimini di guerra sui social media. I loro crimini sono davvero gravi e disgustosi. Gli avvocati internazionali dicono che questa indagine potrebbe rivelarsi preziosa per i pubblici ministeri.

Il video che segue mostra un riassunto della situazione (5 min):

https://www.youtube.com/watch?v=kt59FS8urqI


09 ottobre 2024

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

             
                                              





continua...

08 ottobre 2024

Il sanguinario obiettivo finale di Netanyahu mira a un futuro Israele con una presenza palestinese minima


 Richard Falk blog, 4 ottobre 2024.   

Israele, nell’anno successivo agli attacchi guidati da Hamas del 7 ottobre, ha insistito sul fatto di essere motivato solo da obiettivi antiterroristici nel suo impegno originario di sterminare Hamas, e più recentemente ampliato all’impegno di distruggere Hezbollah come avversario credibile, e -così facendo- indebolire il suo avversario più temuto, l’Iran. Il suo evidente scopo accessorio è stato quello di registrare Hamas, Hezbollah e gli Houthi dello Yemen come proxy dell’arcinemico Iran, accusato di essere il principale sostenitore del ‘terrorismo anti-israeliano’ in Medio Oriente; si tratta infatti di una coalizione di milizie e gruppi politici in Medio Oriente, la maggior parte dei quali presenti negli elenchi occidentali di organizzazioni terroristiche, e presumibilmente legati all’Iran e, in misura minore, alla Siria, in un cosiddetto ‘asse della resistenza’.

A gettare nuove nubi oscure sull’osservanza del triste anniversario del 7 ottobre, è l’attacco simile a quello di Gaza condotto da Israele negli ultimi mesi contro presunti obiettivi di Hezbollah nel sud del Libano, estendendosi ai quartieri controllati da Hezbollah nel sud di Beirut.

Quest’ultima fase di iper-violenza israeliana è culminata negli attacchi mortali con cercapersone/radio, seguiti giorni dopo dall’assassinio del leader di lunga data di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il 27 settembre. E questo un anno dopo che il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha parlato di un mondo che “sta diventando instabile a causa dell’aumento delle tensioni geopolitiche”.

In mezzo a questa preoccupazione per i resoconti quotidiani di atrocità e di gravi e massicce sofferenze dei civili, di recente è stata posta una domanda riguardo alla prolungata dismisura della violenza israeliana, unita al suo ostinato rifiuto di accettare l’appello quasi universale alle Nazioni Unite e altrove per un cessate il fuoco a Gaza legato a un accordo di scambio di ostaggi e prigionieri: Qual è l’obiettivo strategico di Israele che vale un tale sacrificio della sua reputazione globale come stato dinamico e legittimo, anche se controverso?

E dietro a questa domanda inquietante si nasconde un’ansiosa domanda correlata: Israele ha un obiettivo finale che possa giustificare, almeno ai suoi occhi, questo auto-sacrificio insieme alla sua sgradita accettazione dello stigma criminale di credibili accuse di apartheid e genocidio, così come la lista di crimini contro l’umanità e il suo brutale vilipendio delle Nazioni Unite?

Il gioco finale di Netanyahu
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27 settembre 2024

L’Unione Africana deve agire per impedire a Israele di reclutare richiedenti asilo per uccidere i palestinesi a Gaza

 

Unione Africana ingresso della sala plenaria principale presso la sede dell’Unione ad Addis Abeba il 18 febbraio 2024 (MICHELE SPATARI/AFP tramite Getty Images)

Il legame tra Africa e Palestina dovrebbe  essere rafforzato dal totale disprezzo di Israele, non solo per la vita dei palestinesi, ma anche per quella degli africani.

Fonte: English  version

Di Ramzy Baroud – 24 settembre 2024 

Se si visita il sito web di Mahal, continua ad apparire un promemoria a comparsa, “Candidati Online”. È come se la finestra a comparsa ripetuta fosse un promemoria dello stato di emergenza, se non di panico assoluto, nell’esercito israeliano. Mahal è una delle numerose agenzie di reclutamento che mirano ad attirare mercenari da tutto il mondo per combattere le sporche guerre di Israele su tutti i fronti, compresa Gaza.

Non appena è stata lanciata la guerra israeliana contro i palestinesi a Gaza lo scorso ottobre, hanno iniziato a circolare voci di una bassa affluenza tra i riservisti israeliani. Ciò è stato associato a una crisi politica senza precedenti in Israele, dove l’esercito ha insistito nel reclutare ebrei ultra-ortodossi che, fino a poco tempo fa, è stato un argomento intoccabile per i politici israeliani. Anche quando sono stati emessi gli ordini di leva per migliaia di Haredi a luglio, solo una piccola parte di quelli convocati ha risposto alla chiamata, secondo i media israeliani.

La crisi deve ancora essere risolta e molto probabilmente non lo sarà, poiché il governo israeliano di estrema destra di Benjamin Netanyahu continua ad allargare i fronti di guerra. Per comprendere il grado di crisi militare di Israele, basta confrontare le dichiarazioni dei funzionari israeliani all’inizio della guerra, quando promettevano una vittoria totale, con le ultime dichiarazioni.

A luglio, ad esempio, il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che “l’esercito ha bisogno di altri 10.000 soldati immediatamente”. L’indicazione della cifra di “10.000” è particolarmente interessante se consideriamo una rivelazione dell’esercito israeliano secondo cui almeno 10.000 dei suoi soldati sono stati feriti gravemente o moderatamente dall’inizio della guerra.

È probabile che il numero sia molto più alto, in base alle fughe di notizie dei media e alle informazioni fornite dagli ospedali israeliani. Inoltre, migliaia di soldati israeliani sono stati dichiarati “invalidi” a causa del trauma psicologico subito durante la guerra, secondo il Ministero della Difesa israeliano. Da qui lo stato di urgenza in un esercito che, secondo il Maggiore Generale riservista israeliano Yitzhak Brik, è diventato “piccolo e debole, senza una riserva di forze”.

Quindi, dove andrà Israele da qui? 

Invece di porre fine alla sua guerra trasformata in Genocidio a Gaza, Netanyahu ha deciso di rivolgersi proprio alle persone a cui è stato detto di essere gli elementi più indesiderati della società israeliana: i rifugiati e i richiedenti asilo africani. Haaretz ha riferito il 15 settembre che i reclutatori israeliani hanno lavorato in silenzio per arruolare quanti più richiedenti asilo africani possibile nell’Esercito di Occupazione. Come ricompensa, i reclutatori promettono permessi di soggiorno permanenti, sebbene, secondo il giornale, nessun soldato africano abbia ancora ricevuto l’ambita documentazione.

“I funzionari della difesa affermano che il progetto è condotto in modo organizzato, con la guida dei consulenti legali dell’istituzione della difesa”, ha affermato Haaretz. Il documento ha anche confermato che “le considerazioni etiche del reclutamento di richiedenti asilo non sono state affrontate”.

Con “considerazioni etiche”, sia Haaretz che i funzionari della difesa citati non si riferiscono all’uccisione di civili palestinesi disarmati a Gaza per mano di poveri e disperati rifugiati dall’Africa, ma ai diritti dei richiedenti asilo stessi.

È noto che Israele maltratti non solo i richiedenti asilo africani, ma anche i suoi cittadini dalla pelle più scura. Questo Razzismo si è manifestato nei modi più chiari contro i richiedenti asilo africani, il cui numero è stimato in circa 30.000. Migliaia di africani sono già stati deportati dal Paese, non per essere rimpatriati nelle loro nazioni d’origine, ma in altri Paesi africani, dove le violazioni dei diritti umani sono diffuse.

Nel 2018, Amnesty International ha affermato che il governo israeliano sta forzatamente rimandando i rifugiati “alla persecuzione o alla detenzione a tempo indeterminato”.

L’organizzazione per i diritti umani ha criticato le “politiche mal concepite” e “l’abbandono sconsiderato delle responsabilità” di Israele.

Come prevedibile, il maltrattamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati da parte di Israele ha ricevuto risposte smorzate dai governi occidentali e dai gruppi per i diritti umani che spesso reagiscono con forza alle segnalazioni di abusi di massa o deportazioni illegali di rifugiati in qualsiasi altra parte del mondo. E, come spesso accade, il fallimento nel ritenere Israele responsabile delle leggi internazionali e umanitarie incoraggia quest’ultimo a continuare con le sue “politiche mal concepite”.

Immaginate la crudeltà di usare rifugiati disperati, che non hanno affiliazioni politiche o storiche con la guerra in Palestina, per uccidere altri rifugiati nei campi profughi di Gaza, dove la maggior parte delle persone sono rifugiati provenienti da altre parti della Palestina Occupate da Israele dal 1948. Così facendo, Israele ha oltrepassato ogni confine morale, etico e legale che regola il comportamento statale e militare in tempo di guerra. Ciò, tuttavia, non può significare che la comunità internazionale non sia in grado di scoraggiare queste pratiche israeliane, attraverso azioni concrete e sanzioni dirette.

Molti Paesi in tutta l’Africa hanno già alzato la voce in solidarietà con Gaza e il popolo palestinese. Il legame tra Africa e Palestina dovrebbe ora essere rafforzato dal totale disprezzo di Israele, non solo per la vita dei palestinesi, ma anche per quella degli africani.

L’Unione Africana dovrebbe assumere un ruolo guida su questo tema, dissuadere i cittadini dall’arruolarsi nell’esercito israeliano in qualsiasi circostanza e perseguire la questione del reclutamento di richiedenti asilo africani al più alto livello delle istituzioni giuridiche. Mentre la posizione morale assunta da molti Paesi africani riguardo al Genocidio israeliano a Gaza merita il massimo rispetto, spetta anche ai governi africani assumere una posizione altrettanto forte affinché Israele smetta di usare gli africani per uccidere ed essere uccisi a Gaza.

Traduzione  di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

23 settembre 2024

Lo storico voto delle Nazioni Unite per le sanzioni a Israele cambierà la realtà per i palestinesi?

 


I palestinesi, specialmente a Gaza, non possono permettersi il lusso di “essere stanchi” del genocidio. Bianca Otero/Zuma Press Wire/Rex/Shutterstock

di Omar Barghouti,  The Guardian, 19 settembre 2024.


I palestinesi non hanno mai perso la speranza, nella loro decennale resistenza allo spietato regime di oppressione di Israele.

il 18 settembre 2024, il Canada si è astenuto quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato a stragrande maggioranza una risoluzione che chiedeva di applicare sanzioni a Israele, obiettando che la risoluzione “si allinea al boicottaggio, al disinvestimento e alle sanzioni [BDS], a cui il Canada si oppone fermamente”. Questa formulazione, ipocrisia a parte, in realtà capovolge la verità. Lanciato nel 2005, il nonviolento e antirazzista movimento BDS, ispirato alla lotta anti-apartheid sudafricana e al movimento per i diritti civili degli Stati Uniti, ha sempre sostenuto i diritti dei palestinesi in linea con il diritto internazionale.

Il BDS chiede di porre fine all’occupazione illegale e all’apartheid di Israele e di sostenere il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare e a ricevere un risarcimento. È l’Assemblea Generale dell’ONU che sta finalmente iniziando ad ‘allinearsi’ con l’urgente compito di applicare il diritto internazionale in modo coerente, anche nei confronti di Israele. Come afferma Craig Mokhiber, ex alto funzionario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIJ) rende il BDS “non solo un imperativo morale e un diritto costituzionale e umano, ma anche un obbligo legale internazionale”.

Lungi dall’essere il solito voto delle Nazioni Unite, questo è un voto storico. È la prima volta in assoluto che l’Assemblea Generale ha chiamato in causa il regime di apartheid di Israele e la prima volta in 42 anni che ha chiesto sanzioni per porre fine all’occupazione illegale, come stabilito a luglio dalla Corte Internazionale di Giustizia.

Tuttavia, molti palestinesi e attivisti della solidarietà rimangono scettici. A quasi un anno dall’inizio del genocidio israeliano contro 2,3 milioni di Palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, Israele commette quotidianamente atrocità, mostrando di sentirsi invulnerabile a un livello senza precedenti, ciò che persino il mite Segretario Generale delle Nazioni Unite chiama“impunità totale”. In collaborazione con le potenze occidentali egemoniche, guidate dagli Stati Uniti, Israele non solo sta sterminando decine di migliaia di Palestinesi indigeni, ma sta anche demolendo i principi stessi del diritto internazionale.

Molti esperti di diritti umani delle Nazioni Unite sono d’accordo. In una dichiarazione rilasciata lo stesso giorno, hanno affermato che “l’edificio del diritto internazionale si regge sul filo del rasoio, con la maggior parte degli Stati che non riescono a compiere passi significativi per rispettare i loro obblighi internazionali riaffermati nella sentenza [della CIG]”. Per conformarsi alla sentenza, gli Stati devono imporre sanzioni economiche, commerciali, accademiche e di altro tipo all’occupazione illegale e al “regime di apartheid” di Israele, hanno scritto, specificando un embargo militare completo come il provvedimento più urgente.

Già nell’ottobre 2023, pochi giorni dopo l’attacco genocida di Israele a Gaza, il presidente colombiano, Gustavo Petro, aveva avvertito dell’”ascesa senza precedenti del fascismo e, quindi, della morte della democrazia e della libertà… Gaza è solo il primo esperimento per considerarci tutti usa e getta”. In altre parole, “mai più è ora”, come hanno detto i gruppi ebraici progressisti e antisionisti. Ciò significa che la priorità più urgente dell’umanità è ora quella di porre fine al genocidio di Israele, riconoscendo al contempo che la giustizia per i Palestinesi si interseca e si intreccia con le lotte per la giustizia razziale, climatica, economica, di genere, sociale.

Le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia, lo storico voto dell’Assemblea Generale e le dichiarazioni degli esperti dell’ONU riflettono una maggioranza mondiale in ascesa che non solo si schiera con la lotta per l’emancipazione palestinese, ma anche con la missione fondamentale di salvare addirittura l’umanità da un’epoca in cui si pensava che “la forza fa il diritto”, mai vista dalla seconda guerra mondiale, che stava relegando le istituzioni delle Nazioni Unite nella pattumiera della storia.

A prescindere da ciò, i Palestinesi non si illudono affatto che la giustizia risplenda su di noi grazie alla CIJ o all’ONU, essendo quest’ultima istituzione storicamente responsabile della Nakba del 1947-49, della pulizia etnica della maggior parte dei Palestinesi e dell’istituzione di Israele come colonia d’insediamento sulla maggior parte della Palestina storica. Il totale fallimento del sistema giuridico internazionale, dominato dalle potenze coloniali euro-americane, nel fornire le basi necessarie, inequivocabili e giuridicamente vincolanti per fermare il primo genocidio televisivo del mondo -per non parlare del far giustizia- la dice lunga.

Noi Palestinesi abbiamo il diritto internazionale dalla nostra parte. Abbiamo l’alto livello etico di un popolo indigeno che lotta contro un sistema di oppressione depravato e genocida per ottenere i suoi diritti. L’etica e la legge sono necessarie nella nostra o in qualsiasi altra lotta di liberazione, ma non sono mai sufficienti. Per smantellare un sistema di oppressione, gli oppressi hanno invariabilmente bisogno anche del potere: potere delle persone, potere popolare, potere delle coalizioni intersezionali, potere della solidarietà e potere dei media, tra le altre forme.

Nel costruire il potere delle persone, i Palestinesi non chiedono al mondo la carità, ma una solidarietà significativa. Ma prima di tutto, chiedono la fine della complicità. L’obbligo etico più profondo in situazioni di grave oppressione è quello di non fare del male e di riparare al male fatto da te o in tuo nome.

Come ha dimostrato la lotta che ha posto fine all’apartheid in Sudafrica, porre fine alla complicità statale, aziendale e istituzionale con il sistema di oppressione di Israele, soprattutto attraverso le tattiche non violente del BDS, è la forma più efficace di solidarietà, di costruzione del potere delle persone per aiutare a smantellare le strutture di oppressione.

A quasi un anno dall’inizio del genocidio, alcuni lamentano una “stanchezza da genocidio”. Ma i Palestinesi, soprattutto a Gaza, non possono permettersi il lusso di una “stanchezza da genocidio”, poiché Israele continua a massacrare, affamare e sfollare con la forza, commettendo ciò che gli esperti delle Nazioni Unite hanno identificato come “domicicidio, urbicidio, scolasticidio, medicidio, genocidio culturale e, più recentemente, ecocidio”.

I Palestinesi non hanno mai perso la speranza nella loro resistenza pluridecennale allo spietato regime di oppressione di Israele. Questa sconfinata speranza non è radicata in un pensiero velleitario o in un’ingenua convinzione di una vittoria inevitabile che scenderà dal cielo, ma nell’incessante sumud del nostro popolo, nell’insistenza a voler esistere nella nostra patria, nella libertà, nella giustizia, nell’uguaglianza e nella dignità. È anche radicata nella promettente crescita del movimento di solidarietà globale e nel suo impatto.

Inoltre, come dice lo scrittore britannico-pakistano Nadeem Aslam, “La disperazione bisogna guadagnarsela. Personalmente non ho fatto tutto il possibile per cambiare le cose. Non mi sono ancora guadagnato il diritto alla disperazione”. Se non ti sei guadagnato questo diritto, devi continuare a organizzarti, a sperare, a porre fine alla complicità nella tua sfera personale di influenza. Con un radicalismo strategico, possiamo e dobbiamo prevalere sul genocidio, sull’apartheid e su tutta questa indicibile oppressione.

Omar Barghouti è uno dei fondatori della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) dei palestinesi.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Con una maggioranza schiacciante, e per la prima volta in 42 anni, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato oggi per l’imposizione di sanzioni a Israele

18 settembre 2024

Sabra e Chatila 1982 – Gaza Cisgiordania 2024. Per non dimenticare

 



Quando Sharon invase il Libano nel 1982 aveva in mente un progetto militare e politico ben preciso, ovvero quello di demolire e distruggere una volta per sempre la resistenza palestinese guidata da Arafat che era insediata nel Libano. L’Olp di Arafat, con i partiti progressisti libanesi, aveva resistito per tre mesi davanti alla macchina bellica israeliana, registrando una resistenza unica nel suo genere.

Il Libano, come è noto, ha avuto una guerra civile dal 1975 al 1990, che ha provocato ufficialmente oltre 150.000 morti e circa 80.000 sfollati in tutto il territorio libanese. La resistenza palestinese era già presente in Libano sin dal 1967, a seguito della guerra dei sei giorni, ma questa presenza ha avuto un aspetto formale e sostanziale subito dopo il “settembre nero” in Giordania, nel 1970, quando lo scontro militare tra i palestinesi e il Re Hussein è diventato molto duro e l’Olp di Arafat ha scelto di abbandonare la Giordania. Come racconta Shafiq Al Hout, uno dei fondatori dell’Olp, nonché ex Ambasciatore della Palestina in Libano, “il Libano era il nostro Hanoi “perché allora l’Olp aveva bisogno di un terreno adeguato dove stabilirsi per potere attaccare Israele. La Giordania aveva i fucili puntati, l’Egitto aveva il Sinai occupato e la Siria non aveva le braccia aperte per i palestinesi.

Dopo tante mediazioni di diversi Stati, Arafat ha accettato di lasciare Beirut per venire accolto assieme ai suoi uomini a Tunisi, dove stabilì il suo quartiere generale. Dopo la sua partenza verso Tunisi che era il 30 agosto 1982 si assiste a quello che possiamo considerare un atto di “pulizia etnica”: il 16, 17 e 18 settembre 1982, giovedì, venerdì e sabato, le milizie libanesi, assieme all’esercito israeliano, entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila, compiendo una strage tra i civili, con 3500 persone, bambini, donne ed anziani circondati e uccisi anche con l’arma bianca.

Novembre 2023: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a seguito di una azione militare da parte di Hamas (nuova formazione politico militare di ispirazione islamica, nata nel 1987) che ha provocato 1200 morti israeliane e oltre 200 ostaggi secondo il governo israeliano, scatena la guerra su Gaza con lo scopo formale di riportare gli ostaggi a casa e distruggere la resistenza palestinese, programmando un nuovo genocidio, che come 42 anni fa, ha l’aspetto di una vera e propria pulizia etnica provocando oltre 170.000 morti e feriti, oltre i dispersi . È Un genocidio.

Purtroppo, la storia si ripete in modo identico e mi riferisco al contesto regionale, all’obiettivo sotteso nelle azioni del governo israeliano ed infine alla reazione della Comunità Internazionale.
continua...

17 settembre 2024

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

      

La prigionia di Nasser Abu Srour di Chiara Cruciati 
"Il Manifesto" 12 luglio 2024

GEOGRAFIE. «Il racconto di un muro», edito da Feltrinelli, è l’autobiografia di un detenuto condannato all’ergastolo. In un carcere israeliano dal 1993, l’autore palestinese narra la sua vita e quella di un popolo. Un libro universale e un flusso di coscienza che si appiglia ai tempi definiti della storia

L’ergastolo è un cumulo di menzogne e speranze artificiali. È uno spazio minimo che tiene prigioniero il tempo, vuole addomesticarlo per renderlo innocuo e così rendere innocua l’anima costretta in una manciata di metri quadrati. È assenza di libero arbitrio del grande e del piccolo: delle occasioni perdute, del pasto serale. È la condanna a morte dello spirito, mentre il corpo espleta le sue funzioni quotidiane, «pesante fardello da portare, un limite imposto dalle leggi di natura che riduce la nostra capacità di ruotare, volare, nuotare in un oceano di nuvole… È un corpo sprofondato nell’analfabetismo e nell’ignoranza, senza una lingua, senza un discorso e senza un senso, che crede in un improvviso brivido notturno del quale, però, al mattino gli resterà soltanto un confuso ricordo».

Come la sorpresa, la gioia, il disgusto sono sentimenti universali, che prendono forma in modo identico sui volti di ogni essere umano del pianeta, così è l’ergastolo.

QUALSIASI SIA IL CARCERE, la vita prigioniera fino alla morte segna come uno stampo. Il libro di Nasser Abu Srour è universale, e allo stesso tempo unico perché narra di una vita specifica che è solo la sua e di una condanna unica che è quella palestinese.

Il racconto di un muro, edito da Feltrinelli (pp. 336, euro 19, traduzione di Elisabetta Bartuli), è un lungo memoir che è un gioiello.
continua...
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