12 novembre 2024

Il 45% degli ebrei israeliani preferisce la guerra alla pace. E i palestinesi?

 

La Cupola della Roccia di Gerusalemme, vista dal lato palestinese del Muro. Ciò che l’opinione pubblica israeliana vede come il “massacro del 7 ottobre” appare molto diverso agli occhi dei palestinesi. Alex Levac

di Dani Bar On,

Haaretz, 9 novembre 2024.   

Le indagini condotte in Israele, Cisgiordania e Gaza offrono spiragli di speranza, tra molti motivi di disperazione.

Ci sono alcune frasi in Israele che, quando vengono pronunciate, creano un senso di jamais vu, l’opposto del déjà vu, ossia un’esperienza in cui qualcosa di familiare appare strano, come una cosa mai vista. Frasi come “negoziati di pace”, “due stati per due popoli” o “colloqui diretti” generano questa sensazione. Oggi le storie di alieni extraterrestri sembrano più probabili di queste frasi. Infatti, secondo un sondaggio su larga scala pubblicato lo scorso settembre, il 68% degli ebrei israeliani si oppone alla soluzione dei due stati, mentre solo il 21% è favorevole – il punto più basso da decenni. Inoltre, il 42% (!) di questi ebrei sostiene la creazione di un unico stato a supremazia ebraica tra il fiume Giordano e il mare.

Si potrebbe pensare che, con una guerra sanguinosa che si trascina, anche i palestinesi ne abbiano abbastanza degli israeliani e che, di conseguenza, anche il loro sostegno a due stati indipendenti sia diminuito, a scapito della visione di un unico stato palestinese – caro agli occhi di tanti manifestanti nei campus statunitensi.

Eppure sembra che sia vero il contrario. Secondo lo stesso sondaggio – condotto lo scorso luglio dai dottori Nimrod Rosler e Alon Yakter, entrambi dell’Università di Tel Aviv, dalla dottoressa Dahlia Scheindlin e dal ricercatore palestinese Khalil Shikaki del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PSR) – il 40% dei palestinesi che vivono in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est sostiene la soluzione dei due stati. Tra loro c’è stato addirittura un aumento significativo del sostegno a questa soluzione da prima della cosiddetta guerra del 7 ottobre, mentre tra gli ebrei israeliani c’è stato un calo.

I palestinesi preferiscono questo tipo di soluzione rispetto all’alternativa di uno stato dominato dai palestinesi tra il Giordano e il mare (33%) o di un unico stato democratico per ebrei e arabi (25%). Quando Shikaki ha posto la domanda a settembre, senza menzionare Israele – in altre parole, ha chiesto ai palestinesi dei Territori se sarebbero d’accordo ad accontentarsi di uno stato nei territori occupati da Israele in Cisgiordania e a Gaza – il sostegno è salito al 59%. Un altro sondaggio, condotto dall’Istituto per il progresso sociale ed economico (ISEP) con sede a Ramallah, ha rilevato un sostegno ancora più alto: 62% in Cisgiordania, 83% nella Striscia.

Gli israeliani che credono ancora nell’idea dei due stati rischiano di disperarsi se considerano le variabili dell’età e dell’appartenenza religiosa che influenzano le risposte dell’intero pubblico ebraico: Mentre tra gli ebrei israeliani di età superiore ai 55 anni il sostegno alla soluzione dei due stati è del 39%, tra quelli della fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni è dell’8%, mentre scende al 3% tra gli ebrei ortodossi e all’1% tra gli ultraortodossi.

Un unico raggio di luce è emerso quando la domanda è stata posta in modo più ampio. “Se la scelta è tra una guerra regionale che includa Israele, l’Autorità Palestinese, il Libano, lo Yemen e forse l’Iran, oppure un accordo di pace regionale che includa un accordo palestinese-israeliano basato sulla soluzione dei due stati e sulla normalizzazione arabo-israeliana”, il sondaggio ha chiesto, “qual è la sua preferenza?”.

Tra i palestinesi, il 65% ha risposto che preferirebbe la pace regionale alla guerra regionale – con una minima discrepanza, su questa domanda, tra i palestinesi della Cisgiordania e quelli di Gaza. Per quanto riguarda gli arabi di Israele, l’89% degli intervistati ha optato per l’alternativa della pace regionale. Tra gli ebrei in Israele, la pace ha vinto ai punti sulla guerra, ma non per ko: 55% contro 45%.

Un risultato simile è stato ottenuto in un sondaggio condotto all’inizio di ottobre dall’istituto di ricerca Agam Labs, diretto dallo psicologo politico Nimrod Nir dell’Università Ebraica. Alla richiesta di esprimere una preferenza per uno stato palestinese smilitarizzato, con un cosiddetto governo moderato e la supervisione di altri stati arabi, o per l’annessione della Striscia di Gaza, il 55% degli ebrei israeliani ha scelto uno stato palestinese smilitarizzato, contro il 45% che ha preferito l’annessione. Buona notizia per coloro che sono in grado di concentrarsi sul bicchiere pieno del 55%.

Allo stesso tempo, l’avversione alla soluzione dei due stati non significa che gli israeliani vogliano che la guerra continui ad ogni costo. Anche un mediocre esperto nel campo dei sondaggi sa che il modo in cui vengono formulate le domande può esercitare un’influenza cruciale sulle risposte. Nello stesso sondaggio, quando Nir ha chiesto agli intervistati di scegliere tra la continuazione della guerra nel sud pagando il prezzo della morte della maggior parte degli ostaggi, o la cessazione della guerra in cambio del loro rilascio, il 75% della popolazione araba di Israele e il 72% della popolazione ebraica si sono espressi a favore della fine della guerra. Non si tratta di un risultato eccezionale: I sondaggi dell’Agam hanno mostrato una maggioranza della popolazione ebraica favorevole alla fine della guerra almeno da marzo.

Torniamo alla questione dei due stati. Il politologo Colin Irwin dell’Università di Liverpool, che ha contribuito alla risoluzione di numerosi conflitti in tutto il mondo, è ben lontano dal pensare che la situazione sia ormai una causa persa. “I sondaggisti che non hanno lavorato durante i processi di pace non ne comprendono il funzionamento”, spiega Irwin. “Nei negoziati reali, una scala binaria non ha alcun valore”.

Si dovrebbe invece chiedere agli intervistati di dare un voto alla loro opinione su una scala, cioè di decidere se la soluzione proposta è “necessaria” a loro avviso, “desiderabile ma non necessaria”, “non particolarmente desiderabile ma accettabile”, “non desiderabile ma con cui si può convivere” – o “decisamente inaccettabile”. Lo scorso maggio, quando Irwin ha posto una domanda simile agli israeliani, sia ebrei che arabi, tramite la sondaggista israeliana Mina Tzemach, il 43% ha risposto che dal loro punto di vista la soluzione dei due stati è “decisamente inaccettabile”. Irwin ritiene che si tratti di un dato incoraggiante, visto che è stato ottenuto in tempo di guerra, e aggiunge trionfalmente che questa percentuale è inferiore a quella dei protestanti (52%) che nel 1998 si opponevano fermamente a un accordo di condivisione del potere in Irlanda del Nord, prima che venisse firmato l’accordo del Venerdì Santo.

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