04 gennaio 2009

Il giardino di limoni

"Salma Zidane (Hiam Abbas) è una vedova palestinese di 45 anni. Vive nella sua casa di famiglia da sola da quando i suoi tre figli se ne sono andati e si dedica al giardino di limoni che per anni ha coltivato assieme al padre. Il piccolo appezzamento è proprio al confine tra Cisgiordania e Israele. Per il Ministro della difesa israeliano, suo nuovo vicino, quegli alberi non sono altro che una minaccia alla sua sicurezza ..."

In questi giorni al cinema Odeon di Vicenza viene proiettato il film "Il giardino di limoni" del regista Eran Riklis (vedi dettagli e trailer). Chi l'ha visto è rimasto colpito dalla forza delle immagini e delle riprese che rappresentano, con equilibrio e delicatezza, ma non per questo con minore crudezza, l'abisso che separa due popoli costretti a vivere vicini.
Da vedere o da rivedere, quando verrà proiettato in un'altra sala.

Aggiungiamo un commento di Stefano Sarfati Nahmad, su Il Manifesto del 3.1.09:
"La politica, intesa come politica di rappresentanza e di potere, soccombe sotto le bombe israeliane. Veramente era già morta sotto tutte le bombe cadute in quella striscia di terra, ma come una zombie ogni volta si è rimessa a camminare, e nemmeno la sua ultima immagine post-moderna, giovane bella e di colore, potrà trasformarla in un essere vivente. Tolto dunque quello che non è, cosa resta? Quelli e quelle che fanno società, che è poi l'obiettivo della politica. Fanno società ad esempio le donne e gli uomini israeliani e palestinesi che lavorano insieme a progetti che camminano con le proprie gambe; fanno società donne israeliane e palestinesi in relazione tra loro nella quotidianità degli scambi materiali; fa società il buon senso femminile così come è raccontato magistralmente nel film Il Giardino dei Limoni: alla battaglia condotta dalla donna palestinese corrisponde un cambiamento nella moglie del ministro israeliano. D'altra parte, alla solitudine del ministro israeliano, corrisponde una carriera all'ombra del potere dell'avvocato palestinese. E è questa la mia battaglia: chiamare politica il fare società, chiamare «morto che cammina» la politica di rappresentanza e di potere"