di Duccio Facchini Altreconomia, 1° giugno 2025.
Il sequestro di un carico di lavorati metallici al porto di Ravenna avvenuto all’inizio di febbraio di quest’anno svela un lato inquietante dell’export di materiale d’armamento italiano verso Tel Aviv sotto mentite spoglie. Ci sarebbero dei precedenti. Il Governo Meloni non può rimanere in silenzio. L’editoriale del direttore, Duccio Facchini
Il 4 febbraio di quest’anno l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha eseguito il “sequestro d’urgenza” al porto di Ravenna di un grosso carico di lavorati metallici destinati a Israele. Si tratta in particolare di 807 pezzi per un peso complessivo di oltre 13 tonnellate.
L’accusa della Procura romagnola -come ha scritto tra i primi Lorenzo Priviato su Il Resto del Carlino– è che quel carico predisposto alla spedizione da parte dell’azienda lecchese Valforge Srl e bollato come una “normale” partita di arnesi metallici fosse in realtà classificabile come materiale d’armamento. E che la stessa società, incaricata dalla Israel Military Industries (IMI Ltd), non fosse minimamente autorizzata a farlo.
I legali della Valforge hanno fatto riesame contro quel sequestro preventivo sostenendo, tra le altre cose, che il titolare della società fosse del tutto inconsapevole circa “l’identità della committente” e “la destinazione finale dei lavorati metallici una volta giunti in Israele”. Il 17 aprile, però, il Tribunale del riesame di Ravenna ha ritenuto infondato il ricorso, spiegandolo in un’agile ordinanza di sei pagine la cui lettura restituisce un quadro interessante e allo stesso tempo inquietante se si pensa ai fatti in corso nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, per mano dell’esercito di Benjamin Netanyahu.
Altri articoli:
Greta Thunberg a bordo della flottiglia di Gaza: non fare nulla ‘non è un’opzione’