11 dicembre 2007

Un muro sbrecciato nel nostro presepe


Il Comitato Salaam Ragazzi dell’Olivo di Vicenza ripropone un’idea forte per rendere vivo e attuale il presepe 2007

Il presepe tradizionale immerso in un paesaggio desertico o di montagna o delle nostre campagne. Il presepe moderno, attualizzato nella bidonville o nei sobborghi della città o nelle terre sconvolte dalla guerra. Il presepe è sempre interpretato, raccontato, cerca di esprimere con la forza delle immagini e della tradizione radicata in ciascuno di noi un messaggio.

Anche se acquista forme e significati particolari per ciascuno di noi, la nascita del bambino è sempre segno di novità, di rinnovamento, di speranza.

Di quelle attese che ciascuno di noi ha in fondo al cuore, talora molto concrete, la salute, l’affetto, il ritorno della persona cara. Ma per tutti, nella sua forma più condivisa, la speranza della pace.

La pace in famiglia e nella comunità in cui si vive, la speranza della pace del mondo nonostante la guerra, l’ingiustizia, l’odio, il muro.

Di tutti i drammi dell’umanità, il muro rappresenta forse la forma peggiore.

Più della guerra che pure porta morte e distruzione, ma ha già in sé il germe della sua fine e della ricostruzione. Più dell’ingiustizia, che nel momento il cui viene riconosciuta porta in sé la lotta per essere superata. Più dell’odio, passione che può contrapporsi ma anche andare di pari passo con l’amore.

Il muro è il gelo, la durezza, l’impossibilità di andare oltre, l’irragionevolezza di doversi scontrare con una cosa invece che con le persone. Il muro è il segnale definitivo che la speranza è morta.

Proprio nella terra in cui Gesù è nato per ravvivare la speranza “Il popolo che cambiava nelle tenebre vide una gran luce …” oggi viene costruito un muro di separazione.

Un muro alto impenetrabile tecnologico armato. Invalicabile. Non è più questione di guerra o di pace, di ingiustizia o di giustizia, di odio o di amore. Passioni, diritti e parole restano separati tra di loro. La funzione del muro sarà quella di non permettere più che la luce passi, che le persone si vedano, che dall’una e dall’altra parte restino isolate nel proprio terrore.

Quando è nato, Gesù ha trovato il suo muro, quello del silenzio e della esclusione dalla città. Erode voleva che le Scritture restassero blindate e che si uccidesse ogni bambino che potesse essere segno di speranza. Gesù ha voluto essere luce che lacerava le tenebre.

Allora la proposta – per rendere attuale e vivo quest’anno il messaggio della nascita - è che in ogni presepe in famiglia e in comunità sia presente un muro diroccato.

Sbrecciato dalla cometa, fatto crollare dalla tromba dell’angelo, stracciato come il velo del tempio, in ogni presepe vi sia un NO al muro che oggi viene costruito per separare i reciproci terrori in terra di Palestina, costruito per uccidere la speranza.

Non è soltanto un simbolo di problemi lontani da noi. Anche sulla nostra terra oggi si rischia di alzare continuamente barriere e muri di pregiudizio e di paura, incarcerando in spazi sempre più stretti anche gli stranieri che cercano pace.

Nel muro diroccato del nostro presepe ci sia invece la gioia che abbiamo provato quando sono stati abbattuti i muri del timore e della separatezza tra i popoli, che ci ha fatto commuovere quando si sono aperte le porte del ghetto o abbiamo visto smantellare il muro di Berlino.

Un presepe che sia al contempo testimonianza e servizio, di fronte al quale abbiamo il coraggio di dialogare sul muro, sui muri, sulla nostra volontà di abbatterli.