01 dicembre 2025

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

 


TALK

Lun 1 | h 18:00

Storie di resistenza

 

Dando voce alle diverse storie di resistenza, Maria Cristina Paciello vuole offrire una lettura alternativa a quella prevalente e stereotipata che riduce le persone palestinesi a "vittime passive" senza volto e, soprattutto, a "terroriste".
Ad aprire l’intervento ci sarà Matteo Dalla Riva, professore e scrittore per diletto, che ci presenterà il progetto “For the Names of Gaza”: un progetto di scrittura collettiva che ha come obiettivo la creazione di un mausoleo letterario dedicato alle vittime del massacro di Gaza. 

                                   

                                                                                                                                  













Palestina. La caricatura della pace

di GIUSEPPE SAVAGNONE

È quasi scomparsa dalle prime pagine dei giornali e dai notiziari televisivi italiani la tragedia della Palestina. E anche l’opinione pubblica – che aveva espresso la sua indignazione con manifestazioni di un’imponenza mai vista da molti anni – sembra essersela ormai lasciata alle spalle. Effetto dell’entrata in vigore del piano di pace con cui Donald Trump ha mancato per un pelo il premio Nobel e ha comunque ricevuto un incondizionato plauso internazionale, fino ad essere paragonato a Ciro il Grande, «strumento di Dio» nella liberazione degli ebrei.
Tutto è bene quel che finisce bene

Le scene trionfali della firma del trattato, a Sharm el-Sheikh, al cospetto di più di venti presidenti e primi ministri di tutta l’Europa e dei paesi arabi, hanno assunto agli occhi del mondo il significato di una felice conclusione del dramma umanitario che aveva sempre più inquietato le coscienze e messo in difficoltà i Governi.

Anche la grande maggioranza degli opinionisti, che aveva tenacemente difeso il diritto di Israele di difendersi, cominciava ad essere a disagio, di fronte agli scenari di massacri e devastazioni trasmessi ogni giorno in diretta (a costo spesso della loro vita) dai giornalisti palestinesi. Anche loro perciò hanno potuto tirare un sospiro di sollievo, inneggiando al piano di pace come alla giusta soluzione che chiudeva finalmente la questione, dando a ciascuno ciò che gli spettava.

A confermare questa percezione è venuta l’approvazione, da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il 17 novembre scorso, della risoluzione che, sulla linea del piano Trump, affida per due anni al presidente americano il controllo della Striscia attraverso un organismo, il «Consiglio di pace», i cui membri saranno scelti direttamente dallo stesso presidente.

Il merito che è stato unanimemente attribuito al presidente degli Stati Uniti è stato quello di aver finalmente messo fine a uno spargimento di sangue che durava da due anni. Molti hanno parlato di un miracolo, di cui Trump sarebbe stato l’autore con la sua proposta di pace che nessuno fino ad allora aveva provato a fare.

Qualche perplessità controcorrente

In questo clima di beatificazione del Tychoon, quasi nessuno si è azzardato a far notare che questo primato dipendeva dal fatto che il massacro in corso a Gaza era sostenuto, politicamente e militarmente, dagli Stati Uniti e che perciò solo il presidente americano era in grado di fermare Netanyahu. Cosicché sarebbe stato legittimo, se mai, chiedersi perché lo avesse fatto solo ora, a prezzo della vita di migliaia di innocenti.

Così come nessuno o quasi si è posto il problema della consistenza di una pace siglata sulla testa di un popolo rigorosamente escluso dalle trattative, anche nella sua rappresentanza legittima, quell’Autorità Nazionale Palestinese che da tempo riconosce lo Stato ebraico (senza esserne ricambiata).

Perché – come ci si è ricordati invece davanti all’analogo piano di pace americano per l’Ucraina – non basta, per una vera pace, che essa faccia cessare la guerra, ma è necessario che sia giusta.

Per questo motivo gli stessi Governi e gli stessi giornalisti che avevano salutato con entusiasmo la fine delle stragi a Gaza senza porsi altre domande, hanno invece ritenuto irricevibile l’ultima proposta di Trump, sia perché non rispettosa del popolo ucraino, sia perché non concordata con i suoi legittimi rappresentanti. Confermando ancora una volta il doppio standard della diplomazia occidentale, e in particolare di quella europea, nei confronti di questi due conflitti.

Un’illusione ottica

Resta il fatto che la crisi di Gaza è data ormai per risolta, anche se resta qualche pendenza da risolvere nella cosiddetta «fase due», e l’attenzione del mondo si concentra adesso esclusivamente su quella ucraina.

In realtà, siamo davanti a una di quelle illusioni ottiche che l’apparato mediatico, al servizio di precisi interessi politici, è capace di generare a livello pubblico. Anche se alcune voci isolate si sono levate per smascherarla. Come quella Lorenzo Kamel, professore di Storia Internazionale all’Università di Torino e adjunct professor alla Luiss School of Government che, dopo la risoluzione dell’ONU, ha parlato di «un grande giorno per Netanyahu, Hamas e Trump», e di «un brutto giorno per la sicurezza a lungo termine dello Stato di Israele, per l’autodeterminazione palestinese e più in generale anche per le tante persone perbene che ci sono nel nostro mondo».

Perché è vero che con questa pretesa pace i morti innocenti sono molto diminuiti. Ma questo è stato pagato con la discesa del sipario sulle condizioni disastrose di un popolo di più di due milioni di gazawi le cui case, i cui ospedali, le cui moschee sono stati sistematicamente rasi al suolo dall’esercito israeliano e che continua a dipendere dall’arbitrio mutevole dei suoi oppressori per quanto riguarda l’apertura o meno dei valichi attraverso cui dovrebbero arrivare i rifornimenti di viveri.

Per due anni sono stati trattati come un gregge di bestie da Israele, che li ha deportati da un luogo all’altro a suo piacimento, sradicandoli dai luoghi dove vivevano e privandoli di ogni punto di riferimento. Ora sono abbandonati, ancora come bestie, nello spaventoso non-luogo a cui Gaza è stata ridotta.

La tragedia è ora ulteriormente accentuata dalle condizioni atmosferiche e dalle alluvioni. Uomini, donne, bambini guazzano nel fango, sotto tendoni improvvisati, alla ricerca di qualcosa da mangiare, nella speranza che Netanyahu decida di riaprire i valichi. E l’inverno si avvicina sempre di più.

Di tutto questo nessuno risponde. Un giornalista italiano che si è azzardato a chiedere in una conferenza stampa se Israele non debba risarcire i danni causati in questi due anni è stato licenziato dall’agenzia di stampa per cui lavorava. Ciò che è accaduto in questi due anni, di cui il disastro attuale è il risultato, viene ormai cancellato, rimosso. Il radioso futuro aperto con la pace maschera il disastro del presente.

Ma in realtà anche il futuro è estremamente incerto. Per colpa di Hamas, che rifiuta di consegnare le armi, ma anche perché la prospettiva del famoso Stato palestinese, a cui sia il piano Trump che la risoluzione dell’ONU accennano in modo molto vago e ipotetico, è irremovibilmente esclusa dal governo israeliano, che precisa di non essere disposto, su questo punto, a cedere a nessuna pressione. Come ha chiarito recentemente Netanyahu: «La nostra opposizione a uno Stato palestinese in qualsiasi territorio non è cambiata. Gaza verrà smobilitata e Hamas disarmata, nel modo più facile o nel modo più difficile. Non ho bisogno di rinforzi, tweet o prediche da nessuno».

E il comportamento dell’esercito israeliano, in queste settimane di «pace», rimane quello di un’occupazione militare e conferma uno stile di violenza sistematica verso un popolo che non viene trattato come un possibile partner, ma come un vinto a cui non è riconosciuta alcuna dignità umana.

Il silenzio sulla Cisgiordania

A rendere ulteriormente problematico il miraggio del futuro Stato palestinese è la situazione nella West Bank, quella Cisgiordania che secondo la risoluzione dell’ONU del 1947 dovrebbe costituire insieme a Gaza il territorio di quello Stato.

20 novembre 2025

LA PACE ........................ISRAELIANA

 

Immagine satellitare dei lavori di costruzione dell’IDF a est di Gaza City, all’inizio di questo mese. PLANET LABS PBC/Reuters

"Dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, l’IDF ha distrutto oltre 1.500 edifici nelle zone di Gaza controllate da Israele"

Un’analisi condotta da BBC Verify mostra che i quartieri situati oltre la Linea Gialla sono stati distrutti dalle forze dell’IDF, in un’azione che secondo alcuni potrebbe costituire una violazione del cessate il fuoco negoziato da Trump tra Israele e Hamas.

Secondo un rapporto della BBC, dall’entrata in vigore del cessate il fuoco con Hamas, Israele ha distrutto oltre 1.500 edifici nelle zone della Striscia di Gaza controllate da Israele.

Il rapporto, basato su immagini satellitari risalenti all’8 novembre di quest’anno, mostra interi quartieri che sono stati demoliti dal 10 ottobre, quando le forze dell’IDF si sono ritirate sulla Linea Gialla.

Il numero di edifici distrutti potrebbe essere significativamente superiore a 1.500, secondo BBC Verify, che ha affermato che alcune aree sotto il controllo dell’IDF non potevano essere facilmente ispezionate.

Secondo l’analisi effettuata dalla BBC, molti edifici distrutti dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco sembravano essere intatti prima del cessate il fuoco.

Una delle zone citate dal rapporto è quella orientale di Khan Yunis, nella città di Abasan al-Kabira, dove le immagini satellitari dall’ottobre 2023 fino al cessate il fuoco mostravano edifici in piedi con danni minimi o nulli, che da allora sono stati rasi al suolo.

https://www.assopacepalestina.org/2025/11/12/dallentrata-in-vigore-del-cessate-il-fuoco-lidf-ha-distrutto-oltre-1-500-edifici-nelle-zone-di-gaza-controllate-da-israele/

"Il parlamento israeliano approva in prima lettura la legge sulla pena di morte per “terrorismo”"

I critici sostengono che, nella pratica, la pena di morte verrebbe applicata quasi esclusivamente ai palestinesi che uccidono ebrei, e non agli estremisti ebrei che compiono attacchi contro i palestinesi.

Il parlamento israeliano ha approvato in prima lettura un disegno di legge che introdurrebbe la pena di morte per “terrorismo”.

L’emendamento al codice penale, proposto dal ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben-Gvir, è stato approvato lunedì con 39 voti a favore e 16 contrari nella Knesset, composta da 120 membri, segnalando che ha il sostegno del governo del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Secondo il testo della bozza, la pena di morte si applicherebbe alle persone che uccidono israeliani per motivi “razzisti” e “con l’obiettivo di danneggiare lo stato di Israele e la rinascita del popolo ebraico nella sua terra”, ha riferito il Times of Israel.

I critici hanno affermato che, in pratica, la formulazione significa che la pena di morte si applicherebbe quasi esclusivamente ai palestinesi che uccidono ebrei, e non agli ebrei integralisti che compiono attacchi contro i palestinesi.

In una dichiarazione, Amnesty International ha condannato questa evoluzione.

https://www.assopacepalestina.org/2025/11/11/il-parlamento-israeliano-approva-in-prima-lettura-la-legge-sulla-pena-di-morte-per-terrorismo/

"Ben Gvir, arrestare Abu Mazen se Onu vota ok a Palestina"

17 novembre  (Keystone-ATS) 

l ministro israeliano di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha chiesto oggi l'arresto del presidente palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) e l'assassinio di alti funzionari palestinesi qualora il Consiglio di Sicurezza dell'Onu votasse a favore dello Stato palestinese.
“Se accelerano il riconoscimento di questo Stato fabbricato, se l’Onu lo riconosce, voi (…) dovete ordinare omicidi mirati di alti funzionari dell’Autorità Nazionale Palestinese, che sono terroristi sotto ogni aspetto (e) ordinare l’arresto di Abu Mazen”, ha detto il ministro della Pubblica sicurezza Ben-Gvir ai giornalisti, rivolgendosi direttamente al premier israeliano Benjamin Netanyahu.


Giovani ragazze palestinesi giocano in un nuovo campo profughi allestito dal Comitato egiziano a Nuseirat, nella Striscia di Gaza, l’11 novembre 2025 [Eyad Baba/AFP]

Gli aiuti sono ancora tristemente insufficienti rispetto alle necessità di Gaza, mentre si avvicinano piogge intense e l’inverno

L’UNRWA critica aspramente Israele per aver ostacolato gli sforzi umanitari a Gaza. Nonostante il cessate il fuoco che impone il passaggio degli aiuti, Israele ha consentito l’ingresso solo di una minima parte di quelli necessari alla popolazione.

L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi (UNRWA) ha accusato Israele di ostacolare deliberatamente le sue operazioni e di bloccare l’ingresso di aiuti vitali a Gaza nel corso della sua guerra genocida durata più di due anni, mentre i palestinesi affrontano l’arrivo di piogge intense e dell’inverno con scarsi ripari o soccorsi.

“La salvaguardia del mandato e delle operazioni dell’UNRWA è richiesta dal diritto internazionale; è vitale per la sopravvivenza di milioni di palestinesi ed è essenziale per una soluzione politica”, ha dichiarato giovedì il commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini alla Quarta Commissione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, citando le recenti conclusioni della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite e le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) che obbligano Israele a revocare le restrizioni imposte all’Agenzia.

Lazzarini ha anche dichiarato in una conferenza stampa presso la sede delle Nazioni Unite a New York che gravi carenze di finanziamenti stanno minacciando i servizi essenziali dell’UNRWA, esortando i paesi donatori a fornire più fondi, in modo che l’agenzia possa continuare le sue operazioni a Gaza nonostante i tagli ai finanziamenti da parte degli Stati Uniti

Video. Il preside di una scuola di Tel Aviv descrive come Israele insegni letteralmente a odiare ai bambini.



Ahmad Mousa Al-Mash’ala accanto a un furgone incendiato dai coloni israeliani durante un incendio doloso nel villaggio di Jaba, in Cisgiordania, il 18 novembre 2025. (Oren Ziv)

“Il fuoco ha divorato tutto”: i coloni israeliani scatenano un’ondata di attacchi incendiari

Almeno cinque villaggi della Cisgiordania sono stati presi di mira dai coloni che hanno dato fuoco a case, automobili e a una moschea palestinese, mentre l’esercito ha ritardato l’arrivo dei mezzi di soccorso.

Lunedì sera, poco dopo che le autorità israeliane avevano effettuato una rara evacuazione di un avamposto illegale di coloni, decine di coloni hanno preso d’assalto il confine orientale di Jaba, un villaggio palestinese vicino a Betlemme, nella Cisgiordania occupata. Sono arrivati in auto, poi si sono sparpagliati a piedi in gruppi coordinati, incendiando proprietà e spruzzando graffiti con scritte come “Morte agli arabi”, “Vendetta” e “Un ebreo non sfratta un ebreo” – quest’ultima probabilmente in riferimento all’evacuazione e ai recenti arresti di coloni da parte della polizia.

L’attacco è durato solo pochi minuti, ma i danni sono stati ingenti: otto auto bruciate o distrutte e sette case vandalizzate, molte delle quali incendiate.

https://www.assopacepalestina.org/2025/11/19/il-fuoco-ha-divorato-tutto-i-coloni-israeliani-scatenano-unondata-di-attacchi-incendiari/

"L’Onu ha abbandonato Gaza. Vince la legge del più forte"

  Eliana Riva 19 novembre 


Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha scelto di abbandonare Gaza ai progetti e agli umori del presidente Usa Donald Trump e alla sua squadra di affaristi e costruttori. Un voto che rappresenta una capitolazione, che riconosce il fallimento stesso dell’organismo internazionale, appaltandone i doveri al governo più forte, armato e aggressivo.

La Risoluzione 2803, votata nella tarda serata di lunedì 17 novembre, sancisce l’ingresso dell’Onu in una logica di delega politica ed esecutiva al presidente statunitense, che ottiene una legittimazione formale alla gestione della Striscia di Gaza.

NEL SUO PRIMO POST social pubblicato dopo l’approvazione, Trump ha ringraziato tutti per avergli riconosciuto i poteri di cui si era già dotato nel suo piano a 20 punti: «Congratulazioni al mondo per l’incredibile voto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, solo pochi istanti fa, riconoscendo e approvando il CONSIGLIO DI PACE, che sarà presieduto da me, e comprende i leader più potenti e rispettati in tutto il mondo». Anche chi siano questi leader lo deciderà Trump.

Il «Consiglio di pace» è una sorta di club esclusivo. Tony Blair dovrebbe essere il luogotenente del «Board of peace», che sovraintenderà la Forza internazionale di stabilizzazione (Isf) ma anche il comitato tecnocratico palestinese e pure la polizia che verrà modellata.

UNO DEI PUNTI PIÙ CONTROVERSI della Risoluzione riguarda proprio poteri, mezzi e obiettivi dell’Isf, immaginata con lo scopo di disarmare Hamas, distruggere le sue infrastrutture e proteggere popolazione e confini. Non si sa quali siano i Paesi che vi prenderanno parte.



L'aeroporto Ramon, nel deserto presso Eilat

"Via da Gaza, deportazioni mascherate da evacuazioni"


 Widad Tamimi 18 novembre 

Mentre in Italia ci affanniamo a salvarne una manciata, a portare i gazawi fuori da un inferno che non lascia alternative – perché nessuno crede più che ci sia futuro, anche se si cominciasse domani a ricostruire ci vorrebbero anni – emergono, accanto ai canali umanitari legittimi, zone grigie sempre più ampie. Tra questi, il nome che ricorre con maggiore insistenza è quello di Al-Majd Europe, una fondazione registrata in Germania che negli ultimi mesi è diventata protagonista di un’operazione di evacuazione tanto vasta quanto controversa. Ne ha scritto domenica su queste pagine Michele Giorgio

09 novembre 2025

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE













                                  

                


23 ottobre 2025

Personalità ebraiche di tutto il mondo chiedono all’ONU e ai leader mondiali di sanzionare Israele

 

Wallace Shawn, Ilana Glazer e Jonathan Glazer.Composizione: Getty Images

di Joseph Gedeon,  The Guardian, 22 ottobre 2025.  

Esclusivo: in una lettera aperta, ex funzionari, artisti e intellettuali israeliani affermano che le azioni “inaccettabili” messe in atto a Gaza equivalgono a un genocidio.


Personalità ebraiche di spicco di tutto il mondo chiedono alle Nazioni Unite e ai leader mondiali di imporre sanzioni a Israele per quelle che definiscono azioni “inaccettabili” che equivalgono a un genocidio a Gaza.

Oltre 450 firmatari, tra cui ex funzionari israeliani, vincitori di Oscar, autori e intellettuali, hanno firmato una lettera aperta in cui chiedono che Israele risponda delle sue azioni a Gaza, nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est. La lettera è stata pubblicata mentre i leader dell’UE stanno per riunirsi giovedì a Bruxelles; si dice che intendano accantonare le proposte di sanzioni per le violazioni dei diritti umani.

“Non abbiamo dimenticato che molte delle leggi, delle carte e delle convenzioni stabilite per salvaguardare e proteggere tutta la vita umana sono state create in risposta all’Olocausto”, scrivono i firmatari. “Queste garanzie sono state violate senza sosta da Israele”.

Tra i firmatari figurano l’ex presidente della Knesset israeliana Avraham Burg, l’ex negoziatore di pace israeliano Daniel Levy, lo scrittore britannico Michael Rosen, la scrittrice canadese Naomi Klein, il regista premio Oscar Jonathan Glazer, l’attore statunitense Wallace Shawn, le vincitrici dell’Emmy Ilana Glazer e Hannah Einbinder e il vincitore del premio Pulitzer Benjamin Moser.

I firmatari esortano i leader mondiali a sostenere le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) e della Corte Penale Internazionale (ICC), a evitare la complicità nelle violazioni del diritto internazionale interrompendo i trasferimenti di armi e imponendo sanzioni mirate, a garantire un adeguato aiuto umanitario a Gaza e a respingere le false accuse di antisemitismo contro coloro che sostengono la pace e la giustizia.

“Chiniamo il capo con immenso dolore mentre si accumulano le prove che le azioni di Israele saranno giudicate conformi alla definizione giuridica di genocidio”, si legge nella lettera.

L’appello fa seguito a un netto cambiamento nell’opinione pubblica degli ebrei statunitensi e dell’elettorato in generale negli ultimi anni. Un sondaggio del Washington Post ha rilevato che il 61% degli ebrei statunitensi ritiene che Israele abbia commesso crimini di guerra a Gaza e il 39% afferma che sta commettendo un genocidio. Tra il pubblico americano in generale, il 45% ha dichiarato alla Brookings Institution di ritenere che Israele stia commettendo un genocidio, mentre un sondaggio Quinnipiac condotto ad agosto ha rilevato che metà degli elettori statunitensi condivide questa opinione, tra cui il 77% dei democratici.