19 gennaio 2025

Il giorno dopo il cessate il fuoco: Aumentare la pressione per fare cessare il genocidio e aiutarci a smantellare l'apartheid

 


(1) Dal cessate il fuoco alla cessazione del genocidio

Il Comitato nazionale palestinese per il BDS (BNC), la più grande coalizione della società palestinese che sta guidando la campagna globale di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) accoglie con immenso sollievo la notizia di un accordo di cessate il fuoco. Il cessate il fuoco, tuttavia, è solo il primo passo più importante per porre fine al genocidio contro i 2,3 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza illegalmente occupata e assediata. Senza una pressione massiccia, potrebbe costituire la continuazione di una forma meno visibile di genocidio che Israele e gli Stati Uniti sperano possa provocare meno indignazione regionale e globale, boicottaggi e sanzioni.

Dopo tutto, il genocidio di Israele, armato, finanziato e protetto dalle responsabilità dell'Occidente coloniale, ha intenzionalmente ridotto la Striscia di Gaza, occupata illegalmente, in un territorio invivibile per causare una continua perdita di vite palestinesi e la diffusione di malattie infettive e carestie per gli anni a venire, tentando di costringere il maggior numero possibile di palestinesi all'esilio. Secondo gli esperti per i diritti umani delle Nazioni Unite, questo genocidio ha incluso "domicidio, urbicidio, scolasticidio, medicidio, genocidio culturale e, più recentemente, ecocidio". Gli effetti devastanti di tutti questi crimini, così come la carestia indotta da Israele, continueranno a uccidere altre migliaia di palestinesi a causa dell'immensa carneficina e della distruzione intenzionale da parte di Israele delle condizioni di vita in tutta Gaza.

Solo una massiccia pressione globale, soprattutto nella forma della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) può veramente contribuire a porre fine al genocidio per mano di Israele e a sostenere la lotta palestinese per smantellare l'apartheid israeliana.

(2) Porre fine all'impunità e imporre la presa di responsabilità per il bene dell'umanità

L'impunità senza pari di Israele è ciò che gli ha permesso di mantenere il suo regime di colonialismo e apartheid che dura da 76 anni, e ha incoraggiato Israele a scatenare il primo genocidio in diretta al mondo. Ora è una minaccia non solo per l'esistenza dei palestinesi, ma per l'umanità in generale. La maggior parte delle nazioni vede oggi Israele come uno Stato canaglia genocida che sfida apertamente il diritto internazionale, minacciando le sue stesse fondamenta.

Per molti mesi, non solo ha ucciso e ferito palestinesi e altri arabi, ma anche personale delle Nazioni Unite e operatori umanitari internazionali. Il suo primo ministro è un latitante, ricercato dalla Corte penale internazionale per aver perpetrato uno sterminio e altri crimini contro l'umanità. La Corte internazionale di giustizia ha stabilito che la sua occupazione è illegale, che sta imponendo un regime di apartheid ai palestinesi e che sta plausibilmente commettendo un genocidio. Questo ha danneggiato gravemente e irreparabilmente la posizione internazionale di Israele, ancora più di prima.

Senza una seria assunzione di responsabilità, l'“esperimento” di sterminio di massa di Israele a Gaza sarà un modello per un'era senza precedenti di “legge del più forte”, dove i potenti stati coloniali possono "disfarsi" delle nazioni più deboli e delle comunità razzializzate ovunque.

(3) Nonostante la sua propaganda, l'apartheid israeliano è più vulnerabile che mai alle pressioni

Israele non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi dichiarati a Gaza, soprattutto grazie alla leggendaria sumud, alla resilienza e alla resistenza del popolo palestinese, sostenuto da un movimento di solidarietà globale in crescita esponenziale. Israele è stato costretto ad accettare i termini del cessate il fuoco che aveva rifiutato con forza per mesi. La maggior parte delle analisi del genocidio e delle guerre di aggressione di Israele contro il Libano, la Siria e lo Yemen hanno ignorato il fondamento in decomposizione del suo regime coloniale.

La sua economia sta vivendo quella che i suoi migliori economisti descrivono come una “spirale di collasso” economico, con una “fuga di cervelli” quasi senza precedenti, un'industria tecnologica che rappresenta quasi la metà di tutte le esportazioni israeliane in picchiata. Il debito di Israele, pari a 340 miliardi di dollari, è diventato quasi ingestibile, il rating di Moody's è vicino ai livelli "spazzatura", il suo tasso di crescita nel 2024 è stato pari a zero, secondo S&P, gli investimenti stranieri si stanno esaurendo e le lotte interne minacciano un'imminente implosione socio-culturale e politica. A parte i sionisti fanatici e sostenitori del genocidio, Israele è sempre più visto dagli investitori come una #ShutDownNation.

Tutto ciò spiega la vulnerabilità di Israele nei confronti di boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni in tutto il mondo, mostrando a tutti noi cosa dobbiamo fare per isolare ulteriormente il Paese e porre fine alla sua impunità criminale.

(4) Impedire agli Stati Uniti e all'Europa di riabilitare globalmente l'apartheid di Israele e di normalizzare ulteriormente le sue relazioni con le dittature arabe

Un obiettivo primario che questo genocidio statunitense-israeliano non è riuscito a raggiungere è stato quello di instillare nella coscienza collettiva palestinese e araba un senso debilitante di sconfitta e disperazione. Israele e gli Stati Uniti vogliono far dimenticare ai palestinesi i nostri diritti storici e concentrarsi invece solo sul compito estremamente urgente e mastodontico di ricostruire Gaza, ponendo fine un assedio che dura da 18 anni, e garantire che un numero sufficiente di forniture umanitarie raggiunga i palestinesi terribilmente martoriati, affamati e devastati.

Se l'occupazione israeliana continuasse, ci vorrebbero 350 anni, secondo le stime delle Nazioni Unite, per ricostruire Gaza, la cui storia antica risale a 4.000 anni fa. Riconoscendo questo dato di fatto, i palestinesi insistono nel collocare la ripresa di Gaza nel contesto di una intensificazione della nostra lotta per la liberazione e l’assunzione di responsabilità. Nonostante l'orrore indicibile del genocidio per mano di Israele, non dimenticheremo mai i nostri diritti né perdoneremo coloro che ce ne hanno privato per decenni e che hanno perpetrato crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidi per farci arrendere. Continueremo a resistere al colonialismo di insediamento, all'apartheid e all'occupazione militare di Israele, insistendo per ottenere tutti i nostri diritti, in particolare il diritto dei nostri rifugiati di tornare a casa e ricevere un risarcimento.

Un altro obiettivo del genocidio è quello di proiettare la potenza israeliana nella regione, spingendo le dittature che non hanno ancora normalizzato le relazioni con Israele a farlo per paura dell’ira di Israele e degli Stati Uniti. La maggioranza assoluta della regione araba e la maggior parte dei paesi del Sud, tuttavia, sostengono più che mai i diritti dei palestinesi e sono favorevoli a isolare Israele per fargli pagare un prezzo pesante per il suo genocidio. Amplifichiamo queste voci per ostacolare i tentativi di normalizzazione.

(5) Ora più che mai abbiamo bisogno di più B, D e S!

Il nostro lavoro non è finito. Ora più che mai abbiamo bisogno di un'efficace solidarietà internazionale per garantire una assunzione di responsabilità. In quanto parte cruciale della resistenza popolare palestinese e forma più efficace di solidarietà internazionale con la nostra ricerca di libertà, giustizia e uguaglianza, il movimento BDS saluta i milioni di sostenitori globali che continuano a solidarizzare con noi per porre fine al genocidio. Avete incanalato collettivamente il nostro immenso dolore e la nostra rabbia in una pressione di principio e strategica per porre fine alla complicità statale, aziendale e istituzionale internazionale con il regime di oppressione coloniale di Israele. Le vostre marce, i picchetti, i boicottaggi, i blocchi e le occupazioni, tra le varie forme di solidarietà, hanno esercitato una pressione diretta su coloro che detengono il potere e hanno contribuito a farli aderire a questo cessate il fuoco.

È urgente intensificare la pressione del movimento BDS per garantire la fine completa del genocidio a Gaza, permettendo agli aiuti umanitari di entrare senza restrizioni per alleviare la carestia indotta e la diffusione di malattie infettive. Secondo l'UNRWA, il 90% dei palestinesi di Gaza, ovvero 1,9 milioni, sono sfollati interni. Oltre due terzi dei palestinesi di Gaza sono rifugiati, essendo stati sottoposti a pulizia etnica durante la Nakba del 1948. A tutti coloro che sono fuggiti dalle loro case deve essere permesso di tornare in ciò che resta di quelle case e di essere aiutati a ricostruirle. Il loro diritto al ritorno alle case e alle terre originarie della Palestina storica è più urgente che mai e non può essere estinto dal genocidio, dall'apartheid o dal passare del tempo.

Affinché Israele e i suoi sostenitori si assumano le loro responsabilità e garantiscano che il genocidio non si ripeta, il movimento BDS chiede di intensificare la pressione nelle seguenti aree:

1. Boicottaggio:

- Aumentare e diffondere il boicottaggio di:

  • Aziende e banche israeliane, tutte complici dei crimini di Israele
  • Obiettivi prioritari del movimento BDS

- Istituzioni accademiche israeliane (che sono tutte complici) e settore culturale complice

  • Rappresentanti di Israele nello sport (#BanIsrael dalle Olimpiadi, FIFA, UEFA, ecc.)
  • Tutte le attività e gli eventi che fanno “greenwashing”, “pinkwashing” o comunque “whitewashing” per il sistema di oppressione di Israele.

- Dichiarate il vostro sindacato, l'azienda locale, l'organizzazione culturale o sociale, la chiesa, ecc. come Zone Libere dall'Apartheid (AFZ-SPLAI), promuovendo spazi di solidarietà intersezionale e costruendo campagne BDS.

2. Disinvestimento: Organizzate o aderite a campagne per far sì che i fondi d'investimento (statali, comunali, universitari, istituzionali, ecc.) disinvestano dalle aziende complici elencate da:

3. Sanzioni e misure politiche:

- ONU:

- CPI:

  • Perseguire tutti i criminali di guerra israeliani responsabili di questo genocidio; tutti i complici internazionali del genocidio, in particolare i leader di Stati Uniti, compreso Joe Biden e Antony Blinken, Germania, Regno Unito, Unione Europea, tra gli altri; e tutti i manager e i dirigenti delle società militari, tecnologiche, energetiche, finanziarie e mediatiche che hanno permesso il genocidio in violazione della Convenzione sul genocidio.

- Stati:

- Consigli locali e regionali:

  • Adottare politiche etiche (in materia di diritti umani) per gli investimenti e gli appalti, stabilendo che il governo regionale/comunale non investirà o stipulerà contratti con aziende complici di gravi violazioni dei diritti umani in qualsiasi luogo.
  • Ove possibile, interrompere i legami di gemellaggio con le città israeliane, così come qualsiasi altro legame istituzionale con Israele e con i funzionari che rappresentano il governo israeliano.

Con la nostra pressione collettiva, moralmente coerente e strategica in tutto il mondo come BDS, possiamo fare che l'occupazione, l'apartheid e il genocidio diventino storia una volta per tutte. Solo allora il vero significato di “Mai più” potrà essere rispettato e ripristinato.

Fonte: BNC

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

 

14 gennaio 2025

I ricercatori dicono che uno studio mostra che il numero dei morti a Gaza supera di gran lunga le cifre ufficiali





di Nir Hasson,   Haaretz, 11 gennaio 2025.
Uno studio pubblicato su The Lancet stima che il bilancio dei morti per “lesioni traumatiche” potrebbe essere di circa 70.000, di cui il 60% donne e bambini, molto più alto di quanto riportato dal Ministero della Salute di Hamas e senza contare i morti per fame, malattie o freddo.


Il numero di “morti per lesioni traumatiche” nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra è significativamente più alto di quanto riportato dal Ministero della Salute dell’enclave controllato da Hamas, secondo un nuovo studio pubblicato venerdì su Lancet.

L’ultima stima del ministero è che 45.541 persone sono state uccise nella guerra e che circa 10.000 dispersi sono sepolti sotto le macerie. Secondo i ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine, questa cifra è in realtà solo un minimo.

Il Ministero della Salute di Gaza ha pubblicato in ottobre un elenco di 40.717 nomi. In assenza di un conteggio alternativo o di prove che smentiscano le cifre del ministero, le organizzazioni internazionali, i governi stranieri e i media esteri si basano completamente su di esse. Tuttavia, le fonti israeliane respingono regolarmente le stime del ministero, sostenendo che sono fuorvianti.

L’attuale guerra è il primo round di combattimenti in cui Israele non ha contato ufficialmente il numero di palestinesi uccisi. L’unica cifra che i militari hanno pubblicato dall’inizio della guerra è che sono stati uccisi 14.000-17.000 terroristi.

Secondo il sito web dell’esercito, è molto probabile che siano stati uccisi 14.000 terroristi, mentre la probabilità di altri 3.000 morti è medio-bassa. Non sono state fornite nuove cifre da agosto, anche se negli ultimi mesi i combattimenti si sono intensificati e decine di persone sono state uccise a Gaza quasi ogni giorno. L’esercito non fornisce alcun conteggio del numero di civili palestinesi uccisi nei combattimenti.


Israele e il tradimento della memoria di Auschwitz

MOSHE ZUCKERMANN

Il pubblicista Gideon Levy mi ha preceduto. In un recente editoriale dal titolo Auschwitz. Haag. Netanyahu sul quotidiano Haaretz ha affrontato un tema al quale anch’io volevo fare riferimento nel mio editoriale. Quindi inizierò citando Levy.


«Il primo ministro Benjamin Netanyahu – scrive – non si recherà in Polonia il mese prossimo per la cerimonia principale dell’80° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, per il timore di essere arrestato sulla base del mandato emesso nei suoi confronti dalla Corte penale internazionale de L’Aia. Questa amara e non troppo sottile ironia della storia fornisce un intreccio surreale che era quasi inimmaginabile prima d’ora: basta immaginare il primo ministro che atterra a Cracovia, arriva all’ingresso principale di Auschwitz e viene arrestato dalla polizia polacca al cancello, sotto la scritta Arbeit macht frei».

Prosegue: «Il fatto che tra tutti i luoghi del mondo Auschwitz sia il primo in cui Netanyahu teme di andare grida simbolismo oltre che giustizia storica». Levy fa notare plasticamente: «Una cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz, i leader mondiali marciano in silenzio, gli ultimi sopravvissuti in vita marciano al loro fianco e il posto del primo ministro dello Stato sorto dalle ceneri dell’Olocausto è vuoto. È vuoto perché il suo Stato è diventato un paria e perché è ricercato dal più rispettato tribunale che giudica i criminali di guerra». Levy conclude: «Netanyahu non sarà ad Auschwitz perché è ricercato per crimini di guerra».

QUESTO “evento” in effetti è paradigmatico. Ma a prescindere dal fatto che circa la metà della popolazione israeliana si augura il tramonto politico di Netanyahu, che molti sperano anche che alla conclusione del processo finisca in carcere, e che pur avendo commesso così tanti crimini (anche all’interno di Israele) si capisce l’odio nei suoi confronti (e della sua famiglia), Netanyahu stesso è solo un personaggio secondario in ciò di cui parla Gideon Levy.

Spesso a persone di basso rango viene cinicamente attribuita la responsabilità di errori e reati che sono stati causati o iniziati «in alto» nel rispettivo ordine gerarchico. Con sarcastico riferimento alla gerarchia militare, in Israele ha preso piede lo slogan della colpa della «guardia davanti all’ingresso dell’accampamento militare».

Ma la situazione è diversa quando viene condannata una prassi sociale o politica per la quale tuttavia non si può penalizzare un’intera collettività (come è diventato possibile ed è stato compiuto per accordo internazionale con il boicottaggio dello Stato di apartheid sudafricano). In questo caso il rispettivo capo di stato o altri funzionari di alto rango vengono chiamati a rispondere in rappresentanza simbolica dell’intera collettività. Condannando Netanyahu è stato condannato Israele.

Questo va messo in rilievo perché la responsabilità ministeriale per crimini di guerra è delle istituzioni dominanti, ma ha in genere un carattere più astratto. La barbarie (fisica) del crimine si compie invece «sul campo». In quanto governante, Netanyahu ha la responsabilità della politica da lui delineata e disposta e quindi degli orientamenti militari che ne derivano nell’attuale guerra.

Anche se rifiuta costantemente di assumersi qualsiasi responsabilità, soprattutto per il disastro del 7 ottobre, non sono però necessariamente sue le istruzioni che hanno generato i crimini di guerra concreti. Qui va considerato qualcos’altro. Perché ciò che si è visto nelle operazioni dell’Idf nella Striscia di Gaza nell’ultimo anno è un estremo abbrutimento delle truppe di combattimento in azione, i cui crimini di guerra si sono accumulati/si accumulano in una misura tale che ben presto si è iniziato a parlare di un genocidio nei confronti della popolazione civile della Striscia di Gaza.

IL DIBATTITO se si tratti effettivamente di un genocidio sia lasciato ad altra sede; la disputa divampata non fa che distrarre dalla sostanza – dal vistoso imbarbarimento dell’esercito israeliano e della sua attività bellica. È sufficiente focalizzarsi sull’accumulo di crimini di guerra per comprendere che in questa guerra si è dispiegato qualcosa che va ben oltre la persona di Netanyahu. È diventata norma una pratica di combattimento che ha reso «una cosa ovvia» un numero inconcepibile di civili morti e feriti, tra loro soprattutto donne, bambini e persone anziane, e una mostruosa devastazione delle infrastrutture e distruzione di strutture civili vitali.

Di recente in un articolo sulla ricerca del dottor Lee Mordechai della Hebrew University di Gerusalemme ho scritto che l’accusa di aver commesso crimini di guerra è provata da tempo e che nessuno in seguito potrà affermare di non averlo saputo. Che i media mainstream nascondano alla popolazione del Paese i rapporti sulla barbarie praticata in suo nome, che praticamente la mascherino, non può essere accettato come spiegazione per il pubblico silenzio sui crimini – chi vuole sapere può venire a conoscenza di tutto. Naturalmente bisogna voler sapere.

Anche la «giustificazione» dei crimini di guerra nei confronti di ebrei israeliani commessi con il pogrom del 7 ottobre, non ha una base accettabile se si rifiuta che sia legittimo mettere l’esercito al servizio di pulsioni collettive di vendetta e rappresaglia. L’uccisione di bambini da parte di un esercito (come «danno collaterale») non può essere «riparazione» per un torto subito. Meno che mai se i suoi effetti crescono fino a una sproporzione così eclatante.

Ciò che risalta più di ogni cosa è il gusto, il sadismo e il malvagio piacere del danno altrui da parte di soldati, per una strage che stenta a volersi concludere. Il 7 ottobre è stato degradato a licenza per una distruzione eccessiva e per la cancellazione di vite umane senza alcuna remora. In nessuna guerra i soldati sul campo sono stati apostoli di umanità. Già Brecht nell’Opera dei Tre soldi faceva cantare che «i soldati abitano sui cannoni» e solitamente trasformano i loro nemici in una «bella tartare».

Per la popolazione civile nemica diventa particolarmente terribile quando vengono impiegati in modo massiccio bombardieri moderni. Ma ciò che sul campo di battaglia può essere spiegato a partire dalla logica interna di ciò che la guerra nella sua essenza è sempre stata – la legittimità concessa alla completa disinibizione nell’uccidere e devastare le condizioni di vita materiali – fa rabbrividire se emerge che un’intera collettività sostiene i crimini del proprio esercito nazionale.

Quel poco che la popolazione israeliana ha saputo dell’orrore della realtà di Gaza è stato (e viene tutt’oggi) rigettato con spaventosa indifferenza come non vero, come esagerazione, come perfida propaganda dell’altra parte o razionalizzata a cuor leggero attribuendo le colpe per i crimini di guerra agli stessi abitanti di Gaza («hanno iniziato loro»), oppure si dichiara apertamente di non essere in grado di provare compassione per loro.

Sia l’abbrutimento dei soldati sia l’indifferenza della popolazione civile israeliana derivano da una disumanizzazione dei palestinesi che da tempo si dispiega incessantemente. 57 anni di barbarie dell’occupazione e la persistente cancellazione del conflitto israelo-palestinese dall’agenda politica di Israele e del mondo (come portata avanti intenzionalmente soprattutto da Netanyahu) hanno mostrato il loro inevitabile effetto. La vita umana palestinese per la maggior parte degli ebrei israeliani non vale molto, meno che mai dopo il 7 ottobre e meno ancora quando si tratta degli abitanti di Gaza che dall’attuale governo israeliano vengono definiti nella loro quasi totalità come terroristi di Hamas.

UN’EQUIPARAZIONE della catastrofe di Gaza con Auschwitz non è sostenibile – la rigetta anche Gideon Levy nel suo editoriale. Ma non è questo il punto. Per troppo tempo la politica israeliana ha strumentalizzato la singolarità di Auschwitz per scopi politici eteronomi. Dalla Shoah non si può trarre insegnamento, neanche quello del postulato ideologico di quanto fosse necessario creare un «rifugio per il popolo ebraico», come ora dovrebbe essere diventato evidente.

Semmai, dalla Shoah, si potrebbe far derivare come messaggio astratto unicamente il principio guida di una società impegnata a minimizzare se non a rendere impossibile che degli esseri umani continuino a produrre vittime umane. Questo potrebbe essere ciò che Walter Benjamin intendeva con il «debole potere messianico» che viene attribuito a ogni generazione presente in relazione a generazioni passate.

E proprio in questo si manifesta l’orrendo tradimento che Israele (non solo adesso, ma ora con una smisuratezza di sua scelta) ha commesso nei confronti della memoria di Auschwitz. E in questo, esattamente in questo, sta la spaventosità del simbolo che il primo ministro israeliano non parteciperà alla cerimonia di commemorazione dell’80° anniversario della liberazione di Auschwitz perché deve temere di essere arrestato come quel criminale di guerra che in quanto rappresentante di Israele è.

Pubblicato in origine su Overton Magazin. Traduzione a cura di Sveva Haertter e Helena Janeczek

in “il manifesto” del 8 gennaio 2025

06 gennaio 2025

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

 


Il racconto drammatico di uomini e donne palestinesi che hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni a Gaza City per cercare rifugio in un luogo sicuro viaggiando verso il Sud della Striscia di Gaza fino alla città di Rafah. Chi lascia Gaza sa di non poter tornare più indietro, esattamente come accadde a centinaia di migliaia di palestinesi 76 anni fa. Come si può sopravvivere in un paese straniero come l'Egitto avendo perso tutto? Vale la pena di salvare la propria vita e quella dei propri figli sapendo di aver lasciato dietro di sé oltre ai propri beni anche la propria identità e il proprio futuro?





Si può parlare di genocidio per la popolazione di Gaza?
A questa domanda, che ha animato il dibattito pubblico negli ultimi mesi, Amnesty ha tentato di dare una risposta. Dopo una ricerca approfondita in merito e un esame dettagliato delle violazioni commesse da Israele nella Striscia di Gaza tra il 7 ottobre 2023 e l’inizio di luglio del 2024, si è giunti alla conclusione che si tratti di un caso di genocidio. I risultati di quanto trovato sono stati raccolti e pubblicati in un rapporto fondamentale per comprendere la questione. 
All’incontro saranno presenti Vito Todeschini, legal advisor di Amnesty International e Tina Marinari, coordinatrice Campagne della Sezione italiana. Entrambi racconteranno in che modo si è giunti a questa definizione, quali sono gli aspetti fondamentali emersi da queste ricerche e la posizione e le azioni di Amnesty in merito. Entrata libera fino ad esaurimento posti.




L’8 e 9 gennaio alle 19:00, lo spazio Do Robe propone due serate per scoprire il film documentario di Elettra Bisogno e Hazem Alqaddi
*THE ROLLER, THE LIFE, THE FIGHT* 
 uscito nel 2024  83 minuti - in lingua inglese, francese, arabo con sottotitoli italiani
Trama: Hazem arriva in Belgio dopo un doloroso viaggio da Gaza. Elettra arriva a Bruxelles per studiare cinema documentario. I loro primi momenti insieme fanno scattare il desiderio di conoscersi e la macchina fotografica diventa lo strumento per ascoltarsi. L’esilio e la migrazione interiore ci permettono di trovarci laddove i punti di vista sono più miti ed equi.
"The Roller, the Life, the Fight" è un film che ha girato i festival nel mondo e vinto vari premi tra cui Miglior Film italiano al Biografilm e miglior film di debutto al Cinéma du Réel di Parigi.
Elettra sarà presente entrambe le sere e sarà felice di rispondere alle vostre domande dopo la proiezione
I posti sono limitati,  entrata a offerta libera Portarsi un maglione!



Domenica 12 gennaio dalle ore 17 📍 Centro la Locomotiva (quartiere dei Ferrovieri) via Rismondo 2
*Presentazione e vendita libro "La voce dei bambini di Gaza"*

La vendita supporta un progetto, di SOS Palestina/CIVG, "La compagnia L.Cecchetti, l'Associazione "Fonti di pace" con Associazione Social Media Club Palestine, di sostegno delle bambine e dei bambini di Gaza.
Durante l'incontro parleremo della situazione in Palestina a più di un anno dall'inizio del genocidio da parte di Israele, intervengono:
● Giuditta Brattini - volontaria a Gaza
● Imad Jarrar - palestinese di Jenin
L'incontro prevede degli intermezzi musicali dell'arpista Dara Mattiello.
*Dalle ore 19* Buffet di raccolta fondi per Gaza.