Cari amici di Salaam
raramente i mezzi di informazione più conosciuti presentano servizi utili e adeguati per conoscere la drammatica situazione della Palestina. Con un po' di pazienza, però, si possono reperire sul web notizie e informazioni.
Vi proponiamo un paio di esempi.
Il primo è un video/messaggio di speranza sui bambini di Gaza. Lo troviamo su Youtube, dove basta cercare utilizzando una parola chiave, come "palestine" oppure "gaza" per trovare filmati interessanti.
Eccolo: "C'era una volta un ragazzo ..."
Il secondo esempio è un articolo di Federica Iezzi pubblicato su Nena News sul
dramma dei malati di Gaza ad uscire dalla Striscia per accedere alle
cure necessarie non presenti in loco.
Nenanews è un'agenzia di stampa sul Medio Oriente ricca di articoli che aggiornano continuamente su quanto accade in quella zona (tenuto conto che la situazione della Palestina è strettamente collegata a quella della regione).
Ecco l'articolo: "Il dramma dei malati gravi, uscire da Gaza è un inferno"
Le procedure per lasciare la
Striscia per motivi di salute, passando per il valico di Erez con
Israele, sono lunghe e complesse, possono bloccarsi in qualsiasi
momento, quasi sempre per “ragioni di sicurezza”. E altrettanto
difficili sono sull’altro valico, Rafah, verso l’Egitto, ormai chiuso
per gran parte dell’anno
di Federica Iezzi
Khan Younis (Striscia di Gaza), 2 giugno 2016, Nena News -
Nel
solo mese di marzo, le richieste di permessi alle autorità israeliane
di uscita dalla Striscia di Gaza, attraverso il valico di Erez, per cure
mediche sono state 2.205. Di queste ne sono state approvate solo il
69%. Rifiutata l’uscita a 121 pazienti tra cui 5 bambini. Nessuna
risposta per 564 pazienti. Quasi impossibile ottenere permessi di uscita
nell’età compresa tra 16 e 55 anni.
Il maggior numero di richieste è quello per cure oncologiche, seguono
pediatria, ortopedia, cardiologia, ematologia, oftalmologia,
neurochirurgia, medicina nucleare, urologia e chirurgia generale.
In Cisgiordania, Israele e Giordania. E’ qui che vengono curati i pazienti di Gaza.
I principali ospedali che accolgono i malati della Striscia sono il
Makassed hospital, l’Augusta Victoria hospital, il St John Eye hospital e
l’Hadassah Ein Karem hospital di Gerusalemme Est, la Najah
university-hospital di Nablus, il Tel-Hashomir di Ramat Gan in Israele e
l’al-Ahli hospital di Hebron.
E’ lunga la trafila che un paziente palestinese deve seguire
per uscire da Gaza. Intanto deve avere una garanzia finanziaria valido
del Ministero della Salute palestinese e un appuntamento già fissato con
l’ospedale ospitante. Già se la validità di questi due documenti scade
prima che il paziente riceva il permesso, tutto il processo ricomincia
mestamente da capo.
Dopo visita medica da parte di specialisti di Gaza o certificazione
da parte del direttore generale di un ospedale gazawi, ciascuna pratica
deve essere approvata da una commissione medica del Service Purchasing
Department del Ministero della Salute palestinese, sia sulla Striscia di
Gaza sia a Ramallah. I criteri maggiori per l’approvazione sono
l’assenza di un particolare servizio sanitario nel territorio di Gaza e
l’evidenza della copertura dell’assicurazione medica.
Dunque la richiesta di permesso corredata da documenti di
identità del paziente e della famiglia, visita medica e certificazione
completa per la copertura dei costi deve essere presentata all’Israeli
District Liaison Office almeno 7-10 giorni prima della data del
ricevimento nell’ospedale ospitante, pena l’esclusione.
Parallelamente inizia l’arduo cammino per la richiesta del visto di entrata in Israele, per cure mediche. La pratica dura almeno tre settimane.
Stessa trafila tocca agli accompagnatori: che sia una mamma
per la sua bambina o una moglie per il marito o un figlio per il
genitore malato. I permessi adesso sono stati ristretti solo ai parenti
di primo grado con età superiore a 55 anni. Tutto sotto la condizione
dei controlli di sicurezza.
E allora chi copre i costi delle cure per i pazienti palestinesi che
riescono ad uscire dalla Striscia? Per il 94% è il Ministero della
Salute di Ramallah con circa dieci milioni di shekel (due milioni e
mezzo di dollari) al mese. Seguono le organizzazioni non-governative
Nour al-Alam, Peres Centre for Peace, Physician for Human Rights,
Military Medical Services. Solo il 2% riesce a coprire autonomamente
tutte le spese.
I costi per la cura dei palestinesi fuori dal territorio
della Striscia raggiungono il 30% dell’intero budget per la sanità.
Sicuramente sono una significativa fonte di entrate per gli ospedali
cisgiordani e israeliani.
Nei Paesi arabi, il tempo medio di permanenza in ospedale di un
paziente palestinese è di circa tre settimane, per periodi di cura più
lunghi è necessario ottenere un ulteriore permesso.
Ultimo scoglio per chi ha un nome ‘vicino’ alle famiglie di
Hamas, sono le cosiddette interviste di sicurezza da parte dell’Israeli
General Security Services. Lo scorso marzo, 82 pazienti sono stati
sottoposti ad interviste di sicurezza. Il risultato è stata
l’interruzione del processo utile ad ottenere il permesso di entrata in
Israele. E ad Erez non mancano nemmeno gli arresti di pazienti
palestinesi con regolare permesso di uscita. Naturalmente si parla di
detenzioni senza legale processo.
E visto che attualmente i servizi e i sistemi di sicurezza israeliani sono strettamente legati a quelli egiziani, a un palestinese a cui venga negato l’ingresso in Israele, verrà negato anche quello in Egitto.
Questo si aggiunge alla ormai quasi completa chiusura del valico di
Rafah, al confine tra Striscia di Gaza e Egitto, durante l’intero anno.
Secondo i dati del Medical Referral Directorate di Ramallah, nel
2015, 23.896 pazienti hanno ottenuto i permessi di uscita dalla Striscia
di Gaza per cure mediche. E 6.689 dall’inizio di quest’anno.
Nena News