27 aprile 2008

Testimonianze: Tessitrici di pace e di speranza


Con l’aiuto della parrocchia melchita di Ramallah trecento donne palestinesi vendono i loro tessuti a Gerusalemme

DA RAMALLAH CHIARA PELLICCI

Nei locali del Centro pastorale melchita di Ramallah è giorno di consegna dei lavori. Donne con il capo velato e il vestito scuro, ornato con ricami dai colori vivaci, portano borsoni traboccanti: sono gli oggetti in stoffa realizzati dalle madri di famiglia che, grazie all’attività pastorale della parrocchia cattolica melchita, si vedono garantito un lavoro, quello di ricamatrici e sarte, e la possibilità di svolgerlo a casa propria. Vengono qui di tanto in tanto per consegnare i manufatti, vedersi pagare il compenso dovuto e prendere nuove stoffe per nuovo lavoro.
Ne vengono fuori borse, borsellini, fodere per cuscini, centri tavola e quant’altro la fantasia permetta di confezionare con stoffa ricamata secondo la tradizione palestinese. Il Centro pastorale melchita garantisce la vendita dei prodotti realizzati. O almeno ci prova: il turismo a Ramallah, come nel resto dei Territori occupati, è pressoché scomparso viste le difficoltà di libero accesso a causa della presenza dei numerosi check point
israeliani. Così come i pellegrinaggi, che difficilmente si addentrano nel cuore dei territori palestinesi, nonostante la presenza di numerosi siti sacri e di vive comunità cristiane. Ma al Centro pastorale non si danno per vinti. I lavori consegnati dalle ricamatrici vengono in parte esposti per chi si spinge fino qui, in parte inviati a Gerusalemme, al di là del muro che isola i territori palestinesi. Se i visitatori non arrivano a Ramallah, sono gli oggetti che raggiungono i visitatori: succede allora che i pellegrini in visita al luogo dove Gesù insegnò ai suoi discepoli la preghiera del Padre Nostro sul Monte degli Ulivi, trovino i ricami delle donne di Ramallah e dintorni. Un modo perché le vendite siano assicurate.
Il «progetto ricamo» ha un valore ecumenico e interreligioso: coinvolge quasi trecento donne palestinesi, di cui una quarantina cristiane (cattoliche, ortodosse, luterane) e le rimanenti, musulmane. Tutte madri che con il loro lavoro fanno fronte alla precaria situazione in cui versa la maggioranza delle famiglie in Cisgiordania.
Qui il ricamo non è un’attività come un’altra: è una tradizione femminile che da secoli tramanda disegni e colori dei vestiti tipici palestinesi. Completamente femminile è anche la gestione del Centro, affidata a personale locale affiancato da alcune volontarie dell’Afi (Associazione fraterna internazionale), una comunità di laici cristiani fondata negli anni Trenta in Belgio da Yvonne Poncelet.
«È alle donne palestinesi che il Centro è stato affidato completamente. Noi le aiutiamo soltanto», spiega Hélène, una laica francese che con il parroco segue il progetto dal suo inizio.
A pochi passi dalla parrocchia melchita c’è la piazza dei Leoni, punto nevralgico della città. Dietro l’ingorgo di auto che puntualmente si crea intorno al monumento centrale, si intravede un gruppetto di uomini che sventola bandiere e rivendica diritti. I clacson sovrastano le voci dei manifestanti. Le donne dai vestiti scuri e ricamati passano accanto: si avvicinano, cercano di capire. Solo pochi minuti, però: sono cariche di nuovi tessuti da confezionare. Famiglia e lavoro a domicilio aspettano.