27 settembre 2024

L’Unione Africana deve agire per impedire a Israele di reclutare richiedenti asilo per uccidere i palestinesi a Gaza

 

Unione Africana ingresso della sala plenaria principale presso la sede dell’Unione ad Addis Abeba il 18 febbraio 2024 (MICHELE SPATARI/AFP tramite Getty Images)

Il legame tra Africa e Palestina dovrebbe  essere rafforzato dal totale disprezzo di Israele, non solo per la vita dei palestinesi, ma anche per quella degli africani.

Fonte: English  version

Di Ramzy Baroud – 24 settembre 2024 

Se si visita il sito web di Mahal, continua ad apparire un promemoria a comparsa, “Candidati Online”. È come se la finestra a comparsa ripetuta fosse un promemoria dello stato di emergenza, se non di panico assoluto, nell’esercito israeliano. Mahal è una delle numerose agenzie di reclutamento che mirano ad attirare mercenari da tutto il mondo per combattere le sporche guerre di Israele su tutti i fronti, compresa Gaza.

Non appena è stata lanciata la guerra israeliana contro i palestinesi a Gaza lo scorso ottobre, hanno iniziato a circolare voci di una bassa affluenza tra i riservisti israeliani. Ciò è stato associato a una crisi politica senza precedenti in Israele, dove l’esercito ha insistito nel reclutare ebrei ultra-ortodossi che, fino a poco tempo fa, è stato un argomento intoccabile per i politici israeliani. Anche quando sono stati emessi gli ordini di leva per migliaia di Haredi a luglio, solo una piccola parte di quelli convocati ha risposto alla chiamata, secondo i media israeliani.

La crisi deve ancora essere risolta e molto probabilmente non lo sarà, poiché il governo israeliano di estrema destra di Benjamin Netanyahu continua ad allargare i fronti di guerra. Per comprendere il grado di crisi militare di Israele, basta confrontare le dichiarazioni dei funzionari israeliani all’inizio della guerra, quando promettevano una vittoria totale, con le ultime dichiarazioni.

A luglio, ad esempio, il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha affermato che “l’esercito ha bisogno di altri 10.000 soldati immediatamente”. L’indicazione della cifra di “10.000” è particolarmente interessante se consideriamo una rivelazione dell’esercito israeliano secondo cui almeno 10.000 dei suoi soldati sono stati feriti gravemente o moderatamente dall’inizio della guerra.

È probabile che il numero sia molto più alto, in base alle fughe di notizie dei media e alle informazioni fornite dagli ospedali israeliani. Inoltre, migliaia di soldati israeliani sono stati dichiarati “invalidi” a causa del trauma psicologico subito durante la guerra, secondo il Ministero della Difesa israeliano. Da qui lo stato di urgenza in un esercito che, secondo il Maggiore Generale riservista israeliano Yitzhak Brik, è diventato “piccolo e debole, senza una riserva di forze”.

Quindi, dove andrà Israele da qui? 

Invece di porre fine alla sua guerra trasformata in Genocidio a Gaza, Netanyahu ha deciso di rivolgersi proprio alle persone a cui è stato detto di essere gli elementi più indesiderati della società israeliana: i rifugiati e i richiedenti asilo africani. Haaretz ha riferito il 15 settembre che i reclutatori israeliani hanno lavorato in silenzio per arruolare quanti più richiedenti asilo africani possibile nell’Esercito di Occupazione. Come ricompensa, i reclutatori promettono permessi di soggiorno permanenti, sebbene, secondo il giornale, nessun soldato africano abbia ancora ricevuto l’ambita documentazione.

“I funzionari della difesa affermano che il progetto è condotto in modo organizzato, con la guida dei consulenti legali dell’istituzione della difesa”, ha affermato Haaretz. Il documento ha anche confermato che “le considerazioni etiche del reclutamento di richiedenti asilo non sono state affrontate”.

Con “considerazioni etiche”, sia Haaretz che i funzionari della difesa citati non si riferiscono all’uccisione di civili palestinesi disarmati a Gaza per mano di poveri e disperati rifugiati dall’Africa, ma ai diritti dei richiedenti asilo stessi.

È noto che Israele maltratti non solo i richiedenti asilo africani, ma anche i suoi cittadini dalla pelle più scura. Questo Razzismo si è manifestato nei modi più chiari contro i richiedenti asilo africani, il cui numero è stimato in circa 30.000. Migliaia di africani sono già stati deportati dal Paese, non per essere rimpatriati nelle loro nazioni d’origine, ma in altri Paesi africani, dove le violazioni dei diritti umani sono diffuse.

Nel 2018, Amnesty International ha affermato che il governo israeliano sta forzatamente rimandando i rifugiati “alla persecuzione o alla detenzione a tempo indeterminato”.

L’organizzazione per i diritti umani ha criticato le “politiche mal concepite” e “l’abbandono sconsiderato delle responsabilità” di Israele.

Come prevedibile, il maltrattamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati da parte di Israele ha ricevuto risposte smorzate dai governi occidentali e dai gruppi per i diritti umani che spesso reagiscono con forza alle segnalazioni di abusi di massa o deportazioni illegali di rifugiati in qualsiasi altra parte del mondo. E, come spesso accade, il fallimento nel ritenere Israele responsabile delle leggi internazionali e umanitarie incoraggia quest’ultimo a continuare con le sue “politiche mal concepite”.

Immaginate la crudeltà di usare rifugiati disperati, che non hanno affiliazioni politiche o storiche con la guerra in Palestina, per uccidere altri rifugiati nei campi profughi di Gaza, dove la maggior parte delle persone sono rifugiati provenienti da altre parti della Palestina Occupate da Israele dal 1948. Così facendo, Israele ha oltrepassato ogni confine morale, etico e legale che regola il comportamento statale e militare in tempo di guerra. Ciò, tuttavia, non può significare che la comunità internazionale non sia in grado di scoraggiare queste pratiche israeliane, attraverso azioni concrete e sanzioni dirette.

Molti Paesi in tutta l’Africa hanno già alzato la voce in solidarietà con Gaza e il popolo palestinese. Il legame tra Africa e Palestina dovrebbe ora essere rafforzato dal totale disprezzo di Israele, non solo per la vita dei palestinesi, ma anche per quella degli africani.

L’Unione Africana dovrebbe assumere un ruolo guida su questo tema, dissuadere i cittadini dall’arruolarsi nell’esercito israeliano in qualsiasi circostanza e perseguire la questione del reclutamento di richiedenti asilo africani al più alto livello delle istituzioni giuridiche. Mentre la posizione morale assunta da molti Paesi africani riguardo al Genocidio israeliano a Gaza merita il massimo rispetto, spetta anche ai governi africani assumere una posizione altrettanto forte affinché Israele smetta di usare gli africani per uccidere ed essere uccisi a Gaza.

Traduzione  di Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

23 settembre 2024

Lo storico voto delle Nazioni Unite per le sanzioni a Israele cambierà la realtà per i palestinesi?

 


I palestinesi, specialmente a Gaza, non possono permettersi il lusso di “essere stanchi” del genocidio. Bianca Otero/Zuma Press Wire/Rex/Shutterstock

di Omar Barghouti,  The Guardian, 19 settembre 2024.


I palestinesi non hanno mai perso la speranza, nella loro decennale resistenza allo spietato regime di oppressione di Israele.

il 18 settembre 2024, il Canada si è astenuto quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato a stragrande maggioranza una risoluzione che chiedeva di applicare sanzioni a Israele, obiettando che la risoluzione “si allinea al boicottaggio, al disinvestimento e alle sanzioni [BDS], a cui il Canada si oppone fermamente”. Questa formulazione, ipocrisia a parte, in realtà capovolge la verità. Lanciato nel 2005, il nonviolento e antirazzista movimento BDS, ispirato alla lotta anti-apartheid sudafricana e al movimento per i diritti civili degli Stati Uniti, ha sempre sostenuto i diritti dei palestinesi in linea con il diritto internazionale.

Il BDS chiede di porre fine all’occupazione illegale e all’apartheid di Israele e di sostenere il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare e a ricevere un risarcimento. È l’Assemblea Generale dell’ONU che sta finalmente iniziando ad ‘allinearsi’ con l’urgente compito di applicare il diritto internazionale in modo coerente, anche nei confronti di Israele. Come afferma Craig Mokhiber, ex alto funzionario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIJ) rende il BDS “non solo un imperativo morale e un diritto costituzionale e umano, ma anche un obbligo legale internazionale”.

Lungi dall’essere il solito voto delle Nazioni Unite, questo è un voto storico. È la prima volta in assoluto che l’Assemblea Generale ha chiamato in causa il regime di apartheid di Israele e la prima volta in 42 anni che ha chiesto sanzioni per porre fine all’occupazione illegale, come stabilito a luglio dalla Corte Internazionale di Giustizia.

Tuttavia, molti palestinesi e attivisti della solidarietà rimangono scettici. A quasi un anno dall’inizio del genocidio israeliano contro 2,3 milioni di Palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, Israele commette quotidianamente atrocità, mostrando di sentirsi invulnerabile a un livello senza precedenti, ciò che persino il mite Segretario Generale delle Nazioni Unite chiama“impunità totale”. In collaborazione con le potenze occidentali egemoniche, guidate dagli Stati Uniti, Israele non solo sta sterminando decine di migliaia di Palestinesi indigeni, ma sta anche demolendo i principi stessi del diritto internazionale.

Molti esperti di diritti umani delle Nazioni Unite sono d’accordo. In una dichiarazione rilasciata lo stesso giorno, hanno affermato che “l’edificio del diritto internazionale si regge sul filo del rasoio, con la maggior parte degli Stati che non riescono a compiere passi significativi per rispettare i loro obblighi internazionali riaffermati nella sentenza [della CIG]”. Per conformarsi alla sentenza, gli Stati devono imporre sanzioni economiche, commerciali, accademiche e di altro tipo all’occupazione illegale e al “regime di apartheid” di Israele, hanno scritto, specificando un embargo militare completo come il provvedimento più urgente.

Già nell’ottobre 2023, pochi giorni dopo l’attacco genocida di Israele a Gaza, il presidente colombiano, Gustavo Petro, aveva avvertito dell’”ascesa senza precedenti del fascismo e, quindi, della morte della democrazia e della libertà… Gaza è solo il primo esperimento per considerarci tutti usa e getta”. In altre parole, “mai più è ora”, come hanno detto i gruppi ebraici progressisti e antisionisti. Ciò significa che la priorità più urgente dell’umanità è ora quella di porre fine al genocidio di Israele, riconoscendo al contempo che la giustizia per i Palestinesi si interseca e si intreccia con le lotte per la giustizia razziale, climatica, economica, di genere, sociale.

Le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia, lo storico voto dell’Assemblea Generale e le dichiarazioni degli esperti dell’ONU riflettono una maggioranza mondiale in ascesa che non solo si schiera con la lotta per l’emancipazione palestinese, ma anche con la missione fondamentale di salvare addirittura l’umanità da un’epoca in cui si pensava che “la forza fa il diritto”, mai vista dalla seconda guerra mondiale, che stava relegando le istituzioni delle Nazioni Unite nella pattumiera della storia.

A prescindere da ciò, i Palestinesi non si illudono affatto che la giustizia risplenda su di noi grazie alla CIJ o all’ONU, essendo quest’ultima istituzione storicamente responsabile della Nakba del 1947-49, della pulizia etnica della maggior parte dei Palestinesi e dell’istituzione di Israele come colonia d’insediamento sulla maggior parte della Palestina storica. Il totale fallimento del sistema giuridico internazionale, dominato dalle potenze coloniali euro-americane, nel fornire le basi necessarie, inequivocabili e giuridicamente vincolanti per fermare il primo genocidio televisivo del mondo -per non parlare del far giustizia- la dice lunga.

Noi Palestinesi abbiamo il diritto internazionale dalla nostra parte. Abbiamo l’alto livello etico di un popolo indigeno che lotta contro un sistema di oppressione depravato e genocida per ottenere i suoi diritti. L’etica e la legge sono necessarie nella nostra o in qualsiasi altra lotta di liberazione, ma non sono mai sufficienti. Per smantellare un sistema di oppressione, gli oppressi hanno invariabilmente bisogno anche del potere: potere delle persone, potere popolare, potere delle coalizioni intersezionali, potere della solidarietà e potere dei media, tra le altre forme.

Nel costruire il potere delle persone, i Palestinesi non chiedono al mondo la carità, ma una solidarietà significativa. Ma prima di tutto, chiedono la fine della complicità. L’obbligo etico più profondo in situazioni di grave oppressione è quello di non fare del male e di riparare al male fatto da te o in tuo nome.

Come ha dimostrato la lotta che ha posto fine all’apartheid in Sudafrica, porre fine alla complicità statale, aziendale e istituzionale con il sistema di oppressione di Israele, soprattutto attraverso le tattiche non violente del BDS, è la forma più efficace di solidarietà, di costruzione del potere delle persone per aiutare a smantellare le strutture di oppressione.

A quasi un anno dall’inizio del genocidio, alcuni lamentano una “stanchezza da genocidio”. Ma i Palestinesi, soprattutto a Gaza, non possono permettersi il lusso di una “stanchezza da genocidio”, poiché Israele continua a massacrare, affamare e sfollare con la forza, commettendo ciò che gli esperti delle Nazioni Unite hanno identificato come “domicicidio, urbicidio, scolasticidio, medicidio, genocidio culturale e, più recentemente, ecocidio”.

I Palestinesi non hanno mai perso la speranza nella loro resistenza pluridecennale allo spietato regime di oppressione di Israele. Questa sconfinata speranza non è radicata in un pensiero velleitario o in un’ingenua convinzione di una vittoria inevitabile che scenderà dal cielo, ma nell’incessante sumud del nostro popolo, nell’insistenza a voler esistere nella nostra patria, nella libertà, nella giustizia, nell’uguaglianza e nella dignità. È anche radicata nella promettente crescita del movimento di solidarietà globale e nel suo impatto.

Inoltre, come dice lo scrittore britannico-pakistano Nadeem Aslam, “La disperazione bisogna guadagnarsela. Personalmente non ho fatto tutto il possibile per cambiare le cose. Non mi sono ancora guadagnato il diritto alla disperazione”. Se non ti sei guadagnato questo diritto, devi continuare a organizzarti, a sperare, a porre fine alla complicità nella tua sfera personale di influenza. Con un radicalismo strategico, possiamo e dobbiamo prevalere sul genocidio, sull’apartheid e su tutta questa indicibile oppressione.

Omar Barghouti è uno dei fondatori della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) dei palestinesi.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

18 settembre 2024

Sabra e Chatila 1982 – Gaza Cisgiordania 2024. Per non dimenticare

 



Quando Sharon invase il Libano nel 1982 aveva in mente un progetto militare e politico ben preciso, ovvero quello di demolire e distruggere una volta per sempre la resistenza palestinese guidata da Arafat che era insediata nel Libano. L’Olp di Arafat, con i partiti progressisti libanesi, aveva resistito per tre mesi davanti alla macchina bellica israeliana, registrando una resistenza unica nel suo genere.

Il Libano, come è noto, ha avuto una guerra civile dal 1975 al 1990, che ha provocato ufficialmente oltre 150.000 morti e circa 80.000 sfollati in tutto il territorio libanese. La resistenza palestinese era già presente in Libano sin dal 1967, a seguito della guerra dei sei giorni, ma questa presenza ha avuto un aspetto formale e sostanziale subito dopo il “settembre nero” in Giordania, nel 1970, quando lo scontro militare tra i palestinesi e il Re Hussein è diventato molto duro e l’Olp di Arafat ha scelto di abbandonare la Giordania. Come racconta Shafiq Al Hout, uno dei fondatori dell’Olp, nonché ex Ambasciatore della Palestina in Libano, “il Libano era il nostro Hanoi “perché allora l’Olp aveva bisogno di un terreno adeguato dove stabilirsi per potere attaccare Israele. La Giordania aveva i fucili puntati, l’Egitto aveva il Sinai occupato e la Siria non aveva le braccia aperte per i palestinesi.

Dopo tante mediazioni di diversi Stati, Arafat ha accettato di lasciare Beirut per venire accolto assieme ai suoi uomini a Tunisi, dove stabilì il suo quartiere generale. Dopo la sua partenza verso Tunisi che era il 30 agosto 1982 si assiste a quello che possiamo considerare un atto di “pulizia etnica”: il 16, 17 e 18 settembre 1982, giovedì, venerdì e sabato, le milizie libanesi, assieme all’esercito israeliano, entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila, compiendo una strage tra i civili, con 3500 persone, bambini, donne ed anziani circondati e uccisi anche con l’arma bianca.

Novembre 2023: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a seguito di una azione militare da parte di Hamas (nuova formazione politico militare di ispirazione islamica, nata nel 1987) che ha provocato 1200 morti israeliane e oltre 200 ostaggi secondo il governo israeliano, scatena la guerra su Gaza con lo scopo formale di riportare gli ostaggi a casa e distruggere la resistenza palestinese, programmando un nuovo genocidio, che come 42 anni fa, ha l’aspetto di una vera e propria pulizia etnica provocando oltre 170.000 morti e feriti, oltre i dispersi . È Un genocidio.

Purtroppo, la storia si ripete in modo identico e mi riferisco al contesto regionale, all’obiettivo sotteso nelle azioni del governo israeliano ed infine alla reazione della Comunità Internazionale.

17 settembre 2024

INIZIATIVE IN SOLIDARIETA' CON IL POPOLO PALESTINESE

      

La prigionia di Nasser Abu Srour di Chiara Cruciati 
"Il Manifesto" 12 luglio 2024

GEOGRAFIE. «Il racconto di un muro», edito da Feltrinelli, è l’autobiografia di un detenuto condannato all’ergastolo. In un carcere israeliano dal 1993, l’autore palestinese narra la sua vita e quella di un popolo. Un libro universale e un flusso di coscienza che si appiglia ai tempi definiti della storia

L’ergastolo è un cumulo di menzogne e speranze artificiali. È uno spazio minimo che tiene prigioniero il tempo, vuole addomesticarlo per renderlo innocuo e così rendere innocua l’anima costretta in una manciata di metri quadrati. È assenza di libero arbitrio del grande e del piccolo: delle occasioni perdute, del pasto serale. È la condanna a morte dello spirito, mentre il corpo espleta le sue funzioni quotidiane, «pesante fardello da portare, un limite imposto dalle leggi di natura che riduce la nostra capacità di ruotare, volare, nuotare in un oceano di nuvole… È un corpo sprofondato nell’analfabetismo e nell’ignoranza, senza una lingua, senza un discorso e senza un senso, che crede in un improvviso brivido notturno del quale, però, al mattino gli resterà soltanto un confuso ricordo».

Come la sorpresa, la gioia, il disgusto sono sentimenti universali, che prendono forma in modo identico sui volti di ogni essere umano del pianeta, così è l’ergastolo.

QUALSIASI SIA IL CARCERE, la vita prigioniera fino alla morte segna come uno stampo. Il libro di Nasser Abu Srour è universale, e allo stesso tempo unico perché narra di una vita specifica che è solo la sua e di una condanna unica che è quella palestinese.

Il racconto di un muro, edito da Feltrinelli (pp. 336, euro 19, traduzione di Elisabetta Bartuli), è un lungo memoir che è un gioiello.

09 settembre 2024

Le camere di tortura israeliane non sono una novità. Sono ciò che ha provocato la violenza del 7 ottobre

 


di Jonathan Cook,  Jonathan Cook Substack, 7 settembre 2024. 

Se non riesci a vedere il nesso causale tra gli abusi israeliani su generazioni di palestinesi e i crimini di Hamas, allora non hai una visione della natura umana. Non capisci te stesso.

Per molti anni ho vissuto a pochi passi dalla prigione di Megiddo, nel nord di Israele, dove è stato filmato un nuovo video pubblicato dal giornale israeliano Haaretz in cui guardie israeliane torturano in massa i palestinesi. Sono passato davanti alla prigione di Megiddo in centinaia di occasioni. Con il tempo sono arrivato a notare a malapena quegli edifici grigi e tozzi, circondati da torri di guardia e filo spinato.

Ci sono diverse grandi prigioni come Megiddo nel nord di Israele. È qui che i Palestinesi finiscono, dopo essere stati sequestrati dalle loro case, spesso nel cuore della notte. Israele, e i media occidentali, dicono che questi Palestinesi sono stati “arrestati”, come se Israele stesse applicando qualche legittima procedura legale su questi soggetti oppressi – o piuttosto oggetti – della sua occupazione. In realtà, questi Palestinesi sono stati rapiti.

Le prigioni sono invariabilmente situate vicino alle strade principali di Israele, presumibilmente perché gli israeliani trovano rassicurante sapere che i palestinesi vengono rinchiusi in numero così elevato. (Come nota a margine, dovrei ricordare che il trasferimento di prigionieri dal territorio occupato al territorio dell’occupante è un crimine di guerra. Ma lasciamo perdere).

Anche prima dei rastrellamenti di massa degli ultimi 11 mesi, l’Autorità Palestinese stimava che 800.000 Palestinesi – ovvero il 40% della popolazione maschile – avessero trascorso del tempo in una prigione israeliana. Molti non erano mai stati accusati di alcun crimine e non avevano mai ricevuto un processo. Non che ricevere un processo faccia molta differenza: il tasso di condanna dei palestinesi nei tribunali militari israeliani è vicino al 100 %. Sembra che non esista un palestinese innocente.

Articolo completo:

https://www.assopacepalestina.org/2024/09/07/le-camere-di-tortura-israeliane-non-sono-una-novita-sono-cio-che-ha-provocato-la-violenza-del-7-ottobre/

L’esercito israeliano uccide un’attivista americana nella Cisgiordania occupata

 di Michael Arria e Qassam Muaddi  Mondoweiss, 6 settembre 2024.   

La 26enne Aysenur Eygi è stata uccisa dalle forze israeliane mentre partecipava ad una protesta in Cisgiordania, venerdì 6 settembre.

Aysenur Ezgi Eygi  Fotografia: ISM

Aysenur Ezgi Eygi è stata uccisa da un soldato dell’esercito israeliano durante una protesta nella Cisgiordania occupata. Fotografia: ISM

Venerdì mattina il Dipartimento di Stato ha confermato che Aysenur Eygi, una cittadina americana di 26 anni nata in Turchia, è morta. Due medici palestinesi hanno dichiarato allAssociated Press che Eygi è stata colpita alla testa ed è morta dopo essere arrivata all’ospedale locale.

“Abbiamo cercato di salvare la cittadina americana, abbiamo cercato a più riprese di rianimare il suo cuore, ma purtroppo non siamo riusciti a ripristinarne il funzionamento”, ha detto il direttore dell’ospedale Rafidia, il dottor Fouad Naffa.

“Siamo profondamente turbati dalla tragica morte di una cittadina americana, Aysenur Egzi Eygi, avvenuta oggi in Cisgiordania e i nostri cuori vanno alla sua famiglia e ai suoi cari”, ha dichiarato il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Sean Savett, in un comunicato. “Abbiamo contattato il Governo di Israele per chiedere maggiori informazioni e per richiedere un’indagine sull’incidente”.

Eygi apparteneva al Movimento di Solidarietà Internazionale (ISM), guidato dai palestinesi, e stava partecipando a una protesta contro l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania quando le hanno sparato.

Jonathan Pollak, un attivista israeliano che ha partecipato alla protesta, ha detto che l’uccisione è avvenuta poco dopo che i soldati israeliani avevano circondato un gruppo di preghiera comunitaria. Gli scontri sono scoppiati a seguito di questa mossa dei soldati, ma i manifestanti hanno tentato di ritirarsi dopo che si erano calmati. Secondo Pollak, due soldati appollaiati sul tetto di una casa vicina hanno sparato agli attivisti mentre questi ultimi cercavano di andarsene.

Pollak dice di aver visto Eygi “distesa a terra, accanto a un albero di ulivo, mentre sanguinava a morte”.

“Stavamo manifestando pacificamente a fianco dei palestinesi contro la colonizzazione della loro terra e l’insediamento illegale di Evyatar”, ha dichiarato un altro volontario dell’ISM in un comunicato. “La situazione è degenerata quando l’esercito israeliano ha iniziato a sparare gas lacrimogeni e munizioni vive, costringendoci a ritirarci. Eravamo sulla strada, a circa 200 metri dai soldati, con un cecchino chiaramente visibile sul tetto. La nostra compagna volontaria era in piedi un po’ più indietro, vicino a un ulivo con altri attivisti. Nonostante questo, l’esercito le ha sparato intenzionalmente alla testa”.

Articolo completo:


04 settembre 2024

GUERRA TOTALE Jenin è solo l’inizio: l’esercito israeliano classifica la Cisgiordania come zona di combattimento

 

(Credito fotografico: ALAA BADARNEH/EPA)

da The Cradle News DeskThe Cradle, 3 settembre 2024
I palestinesi dei territori occupati affermano che l’obiettivo principale dell’operazione israeliana è la distruzione selvaggia.

L’esercito israeliano, nei suoi documenti interni, ha classificato la Cisgiordania occupata come “il secondo fronte più critico, subito dopo Gaza”, secondo i funzionari della sicurezza che hanno parlato con Israel Hayom

“L’operazione di Jenin è solo l’inizio”, hanno dichiarato i funzionari della sicurezza al quotidiano israeliano, aggiungendo che le incursioni in corso nel nord della Cisgiordania ‘continueranno nel prossimo futuro’.  L’IDF mira ad arrivare a ottobre, il mese delle principali festività ebraiche, con una Cisgiordania più calma rispetto all’attuale mini-rivolta che si sta svolgendo sul terreno. Sebbene sia improbabile una guerra su vasta scala, l’Operazione ‘Campi estivi’ dovrebbe espandersi presto ad altre regioni della Cisgiordania”, dice il rapporto.

Negli ultimi sette giorni, le truppe israeliane hanno condotto il più grande assalto alla Cisgiordania occupata in due decenni, uccidendo decine di Palestinesi e devastando le principali città. Una fonte della sicurezza ha descritto a Israel Hayom l’operazione come “non solo tagliare l’erba, ma sradicare il problema alla fonte”.

Secondo il rapporto, i servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese (AP) “hanno collaborato in modo sostanziale con le forze israeliane, anche durante l’attacco di domenica”, che ha visto veicoli blindati e bulldozer scatenati a Jenin per distruggere infrastrutture vitali.

“I palestinesi affermano che l’obiettivo principale di questa operazione militare, la più grande in oltre due decenni, è distruggere quanto più possibile… Dicono che non si tratta di una necessità legata alla sicurezza. È per ricordare ai palestinesi il costo che dovranno sostenere se decideranno di resistere all’occupazione dell’esercito israeliano”, ha riferito domenica la corrispondente di Al Jazeera Niba Ibrahim.

Sono in corso incursioni anche nella città di Tulkarem, dove un ragazzo di 14 anni è stato ucciso martedì mattina mentre si recava alla moschea con il padre, mentre i cecchini israeliani continuano a colpire impunemente i civili.

Nonostante l’intensità dell’assalto israeliano, le fazioni della resistenza locale hanno affrontato ferocemente l’esercito invasore fin dall’inizio della cosiddetta Operazione “Campi d’Estate”.

“I nostri combattenti ingaggiano feroci battaglie con le forze nemiche che stanno assaltando il campo di Tulkarem e stanno colpendo le forze israeliane di fanteria nelle strade del campo con pesanti raffiche di proiettili che vanno anche a segno”, ha annunciato martedì mattina la Brigata Tulkarem, il ramo locale delle Brigate Quds della Jihad Islamica Palestinese (PIJ).

Anche le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa di Fatah hanno annunciato martedì l’uccisione di un soldato israeliano durante una “serrata imboscata” alle truppe di invasione, in collaborazione con le Brigate Qassam di Hamas, nell’asse di Al-Ghanem, nel campo profughi di Tulkarem.

Durante la riunione del governo israeliano di questa settimana, il Ministro israeliano della Protezione Ambientale Idit Silman ha posto le città di Jenin e Nablus nella stessa categoria del confine tra Gaza e l’Egitto e ha ribadito il diritto di Israele a tutta la Palestina.

“Nel Corridoio Philadelphi, a Jenin e Nablus, dobbiamo attaccare per ereditare la terra. Questo è il termine che deve essere usato [ereditare], non il termine ‘occupare’ la terra”, ha detto Silman.

Lo stesso giorno, il Ministro israeliano degli Insediamenti e delle Missioni Nazionali Orit Strook ha invitato il Segretario Militare e il Gabinetto di Sicurezza a “dichiarare lo stato di guerra in Cisgiordania”.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Soldati israeliani sparano a cinque palestinesi durante un attacco di coloni a un villaggio della Cisgiordania. Tra le persone aggredite ci sono anche cittadini americani.

 

La volontaria americana Vivi Chen dopo essere stata colpita al volto da una pietra.

da Faz3a,    Defend Palestine, 31 agosto, 2024.

[Qusra, Cisgiordania] – Decine di coloni israeliani provenienti dagli insediamenti che circondano il villaggio palestinese di Qusra, a sud di Nablus, hanno inscenato oggi un attacco al villaggio, accompagnati e protetti da soldati israeliani. I coloni israeliani provenienti dai vicini insediamenti che circondano Qusra sono scesi sul villaggio, armati e con il volto coperto. Durante l’attacco, cinque residenti del villaggio sono stati colpiti con munizioni vere, tra cui un giovane uomo che si trova in condizioni critiche dopo essere stato colpito nella parte bassa della schiena e un ragazzo di 12 anni. Tutti e cinque sono stati trasportati in un ospedale locale per un trattamento immediato.

L’attacco è iniziato intorno alle 17.00 ora locale, quando alcuni coloni, poco dopo il loro arrivo, hanno aperto il fuoco con munizioni vere contro i residenti di Qusra e gli attivisti internazionali alla periferia del villaggio, ferendo gravemente un palestinese di 19 anni. I coloni erano seguiti da soldati israeliani, che non hanno tentato di impedire l’attacco, ma hanno permesso ai coloni di continuare a lanciare pietre e ad attaccare i civili palestinesi e gli attivisti internazionali, due dei quali hanno riportato leggere ferite alla testa. Anche gli attivisti di solidarietà americani sono stati aggrediti con pietre e colpiti da proiettili, nonostante avessero reso nota ai soldati la loro identità internazionale.

I soldati israeliani hanno fatto irruzione all’interno del villaggio, sparando gas lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma e munizioni vere. Durante l’attacco, decine di residenti del villaggio sono stati feriti da proiettili rivestiti di gomma e altri quattro sono stati colpiti con munizioni vere, tra cui un ragazzino palestinese di 12 anni ferito a entrambe le gambe da un singolo proiettile di un fucile M16. Altri due sono stati colpiti alle gambe e un altro a un braccio, oltre al 19enne colpito alla schiena dai coloni.

I coloni sono rimasti alla periferia del villaggio, assediando una delle case, causando danni alla proprietà, minacciando i residenti e appiccando incendi nei giardini di quattro case. Le forze di sicurezza israeliane non hanno fatto alcun arresto, secondo un modello ripetuto di impunità e di mancanza di responsabilità per le violenze perpetrate contro i Palestinesi.

L’ambulanza che trasportava uno dei feriti è stata fermata dai soldati a un posto di blocco dell’IDF all’ingresso della città di Nablus, ritardando la sua assistenza in ospedale. I soldati hanno anche ritardato l’ambulanza che trasportava l’attivista americano Amado Sison all’inizio di questo mese, mentre veniva trasferito dopo essere stato colpito alla parte posteriore della gamba da un membro delle Forze di Difesa Israeliane.

Per maggiori dettagli:
Jonathan Pollak +972503010160, jonathan@defendpalestine.org
Vivi Chen +972525336780

I video dell’attacco sono visibili qui, qui, qui e qui. (Credito: Faz3a, defendpalestine.org)

Vivi Chen, una volontaria che lavora con Faz3a, un gruppo che fornisce protezione civile internazionale, era presente oggi sulla scena dell’attacco. Ha raccontato: “I coloni israeliani hanno sparato alla schiena di un giovane a sangue freddo, hanno picchiato un cittadino americano sulla nuca e hanno lanciato pietre contro altre due persone, colpendole alla fronte e alla mano, causando loro delle lesioni. I militari non hanno fatto nulla per fermare l’attacco e sembravano interessati solo ad attaccare i Palestinesi e a dirci di indietreggiare. Quando abbiamo chiesto assistenza all’esercito per spegnere uno degli incendi appiccati dai coloni, i militari ci hanno ignorato, mentre un soldato ci ha mandato un bacio. I soldati hanno lanciato granate stordenti che sono atterrate direttamente accanto a noi mentre indietreggiavamo con le mani in alto e ci hanno sparato mentre continuavamo ad indietreggiare. Cinque residenti hanno riportato ferite da proiettili”.

Contesto

L’incidente di oggi e la violenza in corso a Qusra fanno parte di un modello più ampio di repressione impiegato dallo stato di Israele. Questo attacco avviene mentre i campi profughi palestinesi in Cisgiordania sono oggetto di raid da parte delle forze israeliane. Dal 28 agosto, 22 Palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania. L’escalation di violenza segue anche la pulizia etnica di almeno 18 comunità palestinesi dal 7 ottobre in poi e la diffusione di dichiarazioni del Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich che delineano un piano ‘drammatico’ per imporre il controllo israeliano permanente sulla Cisgiordania ed espandere gli insediamenti illegali.

Il villaggio di Qusra, a sud di Nablus, conta circa 5.000 abitanti. È circondato dai quattro insediamenti illegali di Esh Kodesh, Migdalim, Keida e Ahiya. Dal mese di ottobre, è stato oggetto di continue violenze israeliane attraverso decine di attacchi di coloni e incursioni militari, che spesso si sono verificate in contemporanea. Sei dei suoi residenti sono stati uccisi durante attacchi dei coloni l’11 e il 12 ottobre 2023.

Il vicino insediamento illegale per soli ebrei di Migdalim è diventato un centro di violenza. Circa un anno fa, i coloni hanno sradicato circa 4 ettari di uliveti palestinesi a nord dell’insediamento, nel territorio del villaggio di Qusra. All’inizio di dicembre 2023, i coloni hanno collocato quattro strutture mobili in quest’area e hanno stabilito un nuovo avamposto a nord dell’insediamento, su terreni privati palestinesi. Il nuovo avamposto è situato nel cuore dei terreni agricoli appartenenti al villaggio di Qusra. Recentemente, i coloni hanno anche coltivato circa 2,5 ettari di terreno privato del villaggio di Jorish, a est dell’insediamento di Migdalim.

Alla fine di luglio, i coloni di Esh Kodesh hanno attaccato attivisti internazionali e agricoltori palestinesi nel villaggio di Qusra con tubi di metallo, bastoni e pietre. Due americani e un cittadino tedesco hanno riportato ferite che hanno richiesto il ricovero in ospedale, mentre un altro volontario americano ha riportato ferite più lievi. L’attacco ha avuto luogo mentre gli attivisti della solidarietà internazionale stavano accompagnando gli agricoltori palestinesi ai loro oliveti, ai quali non possono accedere dall’ottobre 2023, a causa degli attacchi dei coloni israeliani.

https://civicrm.defendpalestine.org/civicrm/mailing/view?reset=1&id=33

Traduzione a cura di AssoPacePalestina